SALONE DEL LIBRO DI TORINO: 9 maggio 2019 – Il lavoro dell’attore secondo Fabrizio Gifuni
Nello spazio dell’Arena Robinson, ci spostiamo sui temi del teatro. Nel focus Il lavoro dell’attore, Fabrizio Gifuni dialoga con la giornalista Anna Bandettini condividendo con il pubblico intense e preziose riflessioni. Ripercorrendo i suoi esordi, sin dalla prima esperienza sul palcoscenico – il personaggio di Mercuzio e un laboratorio teatrale negli anni liceali, percepita come “l’esperienza che assomigliava di più alla felicità” – e ricordando come sempre l’insegnamento di Orazio Costa, Gifuni approfondisce i temi che rendono oggi il suo percorso di ricerca distintivo e pressoché unico nel panorama teatrale contemporaneo: il gioco come esercizio per risvegliare l’istinto mimetico dell’infanzia, il teatro come rito civile e politico, la dimensione corporea e vocale che ogni testo custodisce tra le parole depositate sulla pagina scritta.
L’interprete ci racconta dei suoi progetti più recenti, tra cui la direzione della neonata collana Franco Angeli Drama, che ha lo scopo di pubblicare o ripubblicare in maniera organica testi fondamentali per la formazione attoriale, alcuni dei quali mai tradotti prima in Italia. Perché quello dell’attore deve essere vissuto, al pari di tutti gli altri mestieri, come artigianato, disciplina e studio. La spontaneità non paga, è anzi più spesso una trappola. E proprio a Fabrizio Gifuni è affidato il ruolo di evocare due scrittori formidabili come Julio Cortázar e Roberto Bolaño, numi tutelari di questa edizione del Salone. L’attore propone alcuni brani tratti dal reading “Un certo Julio”, che già da anni rappresenta con successo come parte del suo personale repertorio. Alla prorompente ironia e ai fulminanti passaggi di Cortázar fa da controcanto la prosa malinconica di Bolaño. Ad accomunarli è il carattere profondamente esistenziale delle loro riflessioni, che però esplode in lingue e stili molto diversi; la grandezza dell’interpretazione di Gifuni sta nel rendere percepibili concretamente queste differenze, tanto nella partitura vocale quanto nel linguaggio corporeo. Con un finale a perdifiato, cui non può che seguire il lungo e meritatissimo applauso della gremita Sala Azzurra.
Pier Paolo Chini