“Rumba”: l’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato
Il San Francesco di Celestini: storie dai margini
Politica e poesia, ironia e indignazione si intrecciano in “Rumba”, l’ultimo capitolo della trilogia , dopo “Laika” (2015) e “Pueblo” (2017), di Ascanio Celestini. Ritroviamo gli stessi due personaggi, nel un condominio di qualche periferia, intenti a raccontarsi episodi quotidiani. La narrazione è intessuta di eventi reali della storia attuale, come la “mattanza” delle carceri di Santa Maria Capua Vetere del 2020, e rielaborazioni di racconti raccolti nel tempo dall’autore.
Nel minimalismo scenico che lo contraddistingue, una sedia di legno, un sipario rosso e casse di plastica, Celestini dipinge un affresco delle contraddizioni sociali del nostro tempo, usando come prisma narrativo la figura di San Francesco. Il santo è proiettato nell’Italia del XXI secolo, tra barboni nei parcheggi dei supermercati e facchini sfruttati nei magazzini della logistica. Lo accompagna il musicista Gianluca Casadei, fisarmonica e tastiere, che presta il volto al personaggio spalla di Pietro.
Ci incalza, alternando a racconti di ordinaria ingiustizia sociale i riferimenti sottili ma taglienti all’attualità: dall’opulenza della Chiesa (che definendo Francesco “inimitabile” ne prende le distanze) alle disuguaglianze strutturali e al razzismo radicato. Si parla di morti sul lavoro, migrazioni disperate, disumanità delle carceri, e del costo umano delle sperequazioni economiche.
I morti sul lavoro, i morti in mare, i morti in cella, i morti per diagnosi tardive… Con ritmo incalzante mette in scena una folla di attori sociali diversi per provenienza ma che condividono la principale caratteristica di essere “ultimi”, ai margini. La sensibilità di Celestini riesce ad abbracciare tutte le fragilità cui l’oligarchia di potenti espone il resto degli esseri umani. Porta il pubblico verso un’umanità che sembra la più lontana e diversa, ma che in fondo sta tutta sotto lo stesso cielo.
“Quante stelle stanno in cielo? Così tante che non si possono contare. Quante stelle stanno in cielo? Comincia a contarle. Una, due, tre. Arrivi a cento, centocinquanta. Poi perdi il conto.”
Francesco è l’emblema di chi ha guardato oltre il velo di maya, ad una società ingiusta, e ha scelto di passare dalla parte dei bisognosi. Per questo è stato ripudiato dal padre, e dai confratelli si fa chiamare Madre Mio. San Francesco diventa il simbolo degli “ultimi”. Non sceglie solo la povertà, si fa servo dei poveri, è ma l’uomo che vive ai margini, tra gli immigrati che cercano un futuro migliore, tra i senza tetto nei nostri quartieri, o tra i detenuti dimenticati nelle carceri.
La narrazione è ambientata in un parcheggio desolato, in attesa di turisti che non arriveranno mai, un luogo di abbandono, dove i poveri e i reietti diventano “invisibili”, nel sottofondo indistinto del ritmo frenetico del consumismo. Riflette il caos della modernità, e Celestini non cerca di semplificare o rassicurare. Al contrario, sfida il pubblico a portare il peso delle storie narrate, un frammento di un universo di soprusi e prepotenze. Rumba ci invita a guardare il dolore senza distogliere lo sguardo.
Non c’è spazio per la pietà in questo spettacolo, ma solo per un’indignazione consapevole e collettiva.
In scena fino a domenica 17 novembre, al teatro Nuovo di Napoli, imperdibile: RUMBA. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato.
Brigida Orria