Ritorno al Flowers Festival: la musica d’estate alle porte di Torino
Anche quest’anno si è concluso il Flowers Festival di Collegno, la rassegna di concerti estivi nella splendida cornice della ex Lavanderia a Vapore nel Parco della Certosa. Dal 29 giugno al 15 luglio si sono succeduti moltissimi artisti della scena contemporanea, più due serate danzanti ed una traccia bonus in chiusura: i Soliti Idioti. Come ogni anno, il Flowers si impone sulla scena grazie a più fattori, fra cui: la prossimità alla città, i prezzi convenientissimi, l’eterogeneità dell’offerta. Si spazia infatti da Giancane a Rosa Chemical, da Daniele Silvestri e Bennato a Nu Genea, Murubutu e Tananai. Noi abbiamo avuto la fortuna di assistere agli shows dei Coma Cose, il 4 luglio, e dei Baustelle, il 13.
Dopo Sanremo23 e un tour invernale tutto esaurito, Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano, in arte Lama e California, hanno portato la loro arte e il loro amore sul palco: elusivi eppure così prorompenti, giovani e antichi, milanesi e raminghi, i Coma Cose animano la festa gentile che è dentro ognuno di noi, ripercorrendo i loro successi remoti e recenti. Dal primo manifesto, Inverno ticinese, con perle come Anima Lattina e French Fries, fino ai testi più recenti come Agosto morsica. In mezzo, i due brani più noti, quelli del Festival: Fiamme negli occhi e L’addio. E poi tutto il resto: Mancarsi, in cui ci ricordano che la strada è solo una riga di matita che trucca gli occhi alla pianura; o Chiamami, una dichiarazione d’affetto così espansa e inoppugnabile. A livello estetico, lo spettacolo si articola sul movimento dei due, simile ad una risacca e in contrasto con l’unico elemento scenico sul palco: le due C disciolte del loro logo, ingigantite al centro, sembrano simboleggiare una vicinanza strana, mentale ma non fisica, come i corpi celesti quando s’influenzano a livello gravitazionale. Vocalmente, infine, lei è impeccabile: riempie l’aria con le note più difficili attraverso una dolcezza algida che le conferisce una certa peculiarità. Da questo punto di vista, lui invece risulta quasi una spalla, e tuttavia non potrebbero esistere se non come duo: si completano, combaciano, si amano.
Che dire invece dei Baustelle?
Il gruppo, capitanato da Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi, sta portando in giro per la penisola l’Elvis Tour, così chiamato per via del loro ultimo album, Elvis, appunto, dove troviamo Contro il mondo, piacevolissima riconferma in termini di estetica e contenuti: …svegliarsi tardi la mattina, criticare / il grande vuoto, la sinistra che non c’è, / farsi di yoga e qualche droga, / supplicare di esser popolari…
Stupenda, poi, Andiamo ai rave, che già nel titolo conserva un’estrema contemporaneità sociopolitica e che però indaga anche le conseguenze degli ambienti sui singoli. E ancora: La nostra vita, Milano è la metafora dell’amore, Jackie, Betabloccanti cimiteriali blues… Pop e rock vorticano come in passato: permane l’eco di Battiato e Ciampi e De Andrè e Guccini (e così via), e volutamente (immaginiamo) non si assiste ad una particolare evoluzione, quanto alla riconferma di concetti e armonie già espressi in passato ma non ancora chiari nelle teste di molti. Alle nuove tracce si alternano quelle che già conosciamo e che ormai si sono abbarbicate ai nostri cuori come una splendida edera: La guerra è finita, Veronica, Baby, Amanda Lear, Le rane, Un romantico a Milano, La canzone del riformatorio. Gran finale: Charlie fa surf (Quanta roba si fa, MDMA / Ma ha le mani inchiodate / Se Charlie fa skate, non abbiate pietà / Crocifiggetelo, sfiguratelo in volto / Con la mazza da golf… E dal nulla, un tributo a De Gregori. Bianconi interpreta La donna cannone leggendo il testo su un foglio mentre tutti la cantano tenendosi per mano.
Ineccepibile la scenografia: un sipario cremisi e un unico neon che in alto a destra culmina con la scritta baustelle nel solito corsivo da insegna, più una serie di fari mono-gamba un po’ Sixties, alti e bassi intervallati come una cornicetta. Infine, il volto di Elvis sulla grancassa della batteria.
Lo spettacolo è stato magico, rincuorante, retrò, saturo di sarcasmo ed esistenzialismo moderno.
Il Flowers Festival, prodotto dall’Hiroshima mon amour, è una realtà che dobbiamo preservare nonostante la sua perfettibilità: ci si vede l’anno prossimo con altra musica e sorrisi rinnovati.
Davide Maria Azzarello