“RICCARDO 3 (L’AVVERSARIO)” DI VETRANO E RANDISI AL TEATRO GIUDITTA PASTA DI SARONNO
Noi viviamo nel semidelirio di un tetro diletto interrotto da accessi di lucida disperazione.1
Ospite di un luogo di detenzione, un uomo dorme il sonno dei tormentati. Due coscienze lo scrutano dall’ombra oltre le grate: sanno ciò che ha commesso, conoscono una per una le macchie dei suoi delitti, ma anche alla luce più chiara egli rimane un torbido enigma. C’è mai stato qualcuno capace di ingannare in questo modo, senza scrupoli? C’è mai stato qualcuno capace di portare l’inganno fino alle conseguenze estreme, senza incontrare ostacoli? Ora è in gabbia, addormentato. Ma non lo rimarrà a lungo. Entrambe le coscienze, che si sono affilate l’una sulle parole dell’altra, attendono solo che “lui, la morte in terra”2 apra gli occhi.
“Riccardo3 (L’avversario)” di Francesco Niccolini, diretto e interpretato da Enzo Vetrano e Stefano Randisi – con loro, sul palcoscenico, anche Giovanni Moschella – unisce liberamente al Riccardo III, in controluce, la figura di Jean-Claude Romand, protagonista del celebre libro di Emmanuel Carrère. Una drammaturgia a lama doppia che ritaglia la tragedia shakespeariana dalla sua ambientazione originale e la colloca pezzo per pezzo all’interno di una stanza dalle pareti verde acido, una sedia a rotelle al posto del trono e una siringa per spada. A differenza del fratello Edoardo, che giunto alla conquista del trono ha riposto le armi, Riccardo vive con profonda insofferenza la stagione di pace in Inghilterra. Non è in grado di sopprimere il sé guerriero, in cuor suo non potrà mai divenire un uomo adatto alle cerimonie di corte e ai salotti mondani: “Gettato su questa terra prima del tempo, non finito (…) Non ho altro passatempo che osservare la mia ombra proiettata dal sole – e inneggiare alla mia deformità.” Per rovesciare una volta per tutte questa incompletezza che lo attanaglia, Riccardo seminerà discordia nelle ferite non ancora cicatrizzate, manipolando chi si fida di lui e mettendo chi non si fida nella condizione di essere mandato al boia. All’apice della sua parabola diventerà sovrano, cucendosi addosso l’immagine non dell’usurpatore bensì dell’acclamato, supplicato salvatore della patria dal baratro di una nuova spaventosa guerra civile. Quel vortice di sanguinaria crudeltà, grazie al quale è riuscito a salire sempre più in alto, lo trascinerà ben presto negli abissi. Anche Romand è inseguito da qualcosa, un malessere che gli impedisce di ottenere i risultati che ci si aspetterebbe da lui: un disagio cui reagisce ammalandosi di menzogna. Incapace di spogliarsi, di mostrare il proprio sé autentico agli amici intimi e alla sua stessa famiglia, trascorre oltre dieci anni come “un uomo a compartimenti stagni”3, procrastinando le conseguenze. Ucciderà a sangue freddo le persone più care (la moglie, i figli, i genitori) per non dover loro rendere conto del proprio disperato nulla. Ma non riuscirà a suicidarsi nell’incendio della propria abitazione, e quando si risveglierà dal coma sarà costretto a rivelare una per una le porte a tenuta stagna della sua memoria. In scena dal primo all’ultimo momento, Vetrano dà con grande precisione voce e carne a un personaggio camaleontico, capace di attrarre e di respingere, di spalancare un gioco cui nessuna coscienza può sottrarsi. Ma le pedine di questo gioco, interpretate da due bravissimi e affiatati Randisi e Moschella, non gli danno tregua, rendendo vani i punti ottenuti e acidi i sogni.
Inquieto e inquietante, “Riccardo3 (L’avversario)” porta lo spettatore a interrogarsi, a guardare se stesso in controluce, perché – come reso limpido dalle parole di un poeta – “Quando non hai questo morire e divenire, Tu sei solo un torbido ospite sulla buia terra.”4
Pier Paolo Chini
- Citazione tratta da “Sotto il sole di Satana”, primo romanzo di Georges Bernanos.
- Citazione da “L’avversario” di E. Carrère
- Citazione da “L’avversario” di E. Carrère
- Versi da “Selige Sehnsucht”(Beato struggimento) di J.W. von Goethe.