Raul Montanari e “La seconda porta”
“È finita, pensai ancora. Era tempo di riprendere in mano i miei giorni e provare a dargli di nuovo un senso, ma per questo ci sarebbe stato domani, e ancora domani, e domani”
“La seconda porta” di Raul Montanari (Baldini+Castoldi, 2019, pp. 347, euro 18) è la storia di Milo Molterni, il più famoso pubblicitario italiano, famoso soprattutto per le sue campagne sociali. Ma chi è in realtà Milo? Principalmente è un uomo, verosimilmente egoista e falsamente buono, vive nella sua coscienza l’enigma per eccellenza tra essere e non essere. Vive la sua manifesta insensibilità verso temi profondi, come quello sollevato dall’ex moglie – sul desiderio di maternità – pagando con il celato malessere notturno che gli impedisce di dormire i sonni tranquilli riservati ai giusti. La porta è la chiave dell’intero romanzo, rappresenta il cambiamento, la seconda possibilità che ognuno di noi, prima o poi sarà costretto ad attraversare; è la metafora a cui ognuno di noi, prima o poi si troverà di fronte, ma la scelta e il coraggio se attraversare o meno il baratro sta solo a noi. Milo vive il dramma dell’immigrazione attraverso le sue campagne pubblicitarie, cioè per un mero ed egoistico tornaconto personale, senza realmente conoscerne i dettagli. La seconda porta, nell’appartamento lo pone al cospetto della scelta esistenzialistica se aiutare Adam, giovane diciassettenne egiziano intrufolatosi nel suo nuovo appartamento per sfuggire alla persecuzione da parte di altri immigrati, oppure denunciarlo e scrollarsi così dalle spalle il pesante fardello della responsabilità. Adam è il cucciolo impaurito, bugiardo, costretto a mentire per anelare alla salvezza, con un passato doloroso come bagaglio, bisognoso di aiuto, disposto anche a vendersi pur di potersi salvare. È fuggito dall’Egitto con il fratello perché perseguitati da una famiglia rivale, pronta a tutto pur di ucciderli, costretto a travestirsi da scafista per approdare nelle spiagge italiane, violentando in tal modo il suo animo gentile.
“Il passato non passa mai, l’avevo capito da un pezzo, come tutti: è una delle parole più traditrici del vocabolario. Noi siamo il nostro passato, anzitutto. Siamo fatti di passato molto più che di presente, perché il presente si sbriciola fra le nostre mani attimo dopo attimo mentre il passato è un nocciolo duro, roccioso. Il passato è quella parte del presente che ha meritato di rimanere dentro di noi per sempre.”
La Ham, organizzazione segreta di giustizieri, cerca lui è suo fratello, per ucciderli. I paesi, come l’Italia, che vivono altre realtà, non possono arrivare a immaginare la crudezza a cui sono sottoposti coloro i quali si imbarcano con l’utopica speranza di salvezza, e Montanari nel suo romanzo cerca di denudare questa triste realtà. Velardi, il bizzarro detective, ha la funzione di smorzare un po’ i toni complessi del tema affrontato, è quasi il grillo parlante della favola di Pinocchio, rappresenta principalmente la voce della coscienza di Milo e dunque la sua – in tutto il romanzo le sue parole, a volte ironiche racchiudono ciò che la ragione di Milo rifugge. Esempio pertinente è la scelta tra legge e giustizia: la nostra coscienza dovrebbe obbedire alla giustizia e non alla legge quando queste due dimensioni entrano in conflitto. Il pensiero più profondo pronunciato da Valardi è quello sulla saggezza : “Sai perché la rassegnazione è così pericolosa? Perché uno quando si rassegna si sente saggio, in fondo: gli sembra di giudicare finalmente le cose dall’alto, col giusto distacco da tutti quei poveri illusi che continuano ad affannarsi, laggiù. Invece rassegnarsi significa cominciare a morire.”
L’io narrante, il protagonista, è Montanari, che si denuda davanti al lettore, infliggendosi in modo ricorrente, vagonate di autocritica, sul lavoro, sulla propria persona, sulle proprie azioni. Il tono, a volte ironico, smussa il tema attuale, crudo e angosciante. Il compiere la buona azione con una delle vittime del sistema, lava la nostra coscienza ma non risolve il grave e devastante problema, che genera troppi morti ogni anno. Bisognerebbe accendere la luce in tutti i vagoni bui, di quel treno che passa lentamente, far sì che tanti fondi, sperperati dalle nazioni per l’acquisto di armi utili a inutili guerre, vengano adoperati, per rendere vivibili quei luoghi da cui tanti sono costretti a fuggire.
La seconda porta apre la mente, pone il lettore davanti al bivio interiore tra essere e dover essere.
Marisa Padula