“Questi capelli”, queste radici
Con il romanzo “Questi Capelli” (La Nuova Frontiera, pp. 157, euro 15,90), Djamilia Pereira de Almeida è arrivata finalista al PEN America Translation Prize.
“Decisa a scoprire chi sono, come una sorpresa a metà del percorso, una rivelazione imprevista, mi trovo improvvisamente impigliata nella mia particolarità. Pensavo che mi sarei dissolta negli altri, perdendomi nell’oscurità da cui intendevo salvarli, ma ora mi rimane solo una nebbia retrospettiva di me stessa, la mia stessa idea dei miei capelli. Ora mi sembra che l’unica nozione ammissibile di integrità sia quella di onorare non la persona che sono stata ma la persona che penso di non essere mai diventata. È la nera da romanzo che oggi merita la mia deferenza. Come essere degna di lei? Non so pettinarmi per iscritto senza che il libro mi sfugga un po’ di mano.”
Mila è nata a Luanda da madre nera angolana e padre bianco portoghese. Ha tre anni quando arriva a Lisbona, spettinata e “aggrappata a una confezione di biscotti“. Tutto ciò che sa delle sue origini è legato ai nonni e ad alcune fotografie sbiadite. Mila usa i ricordi come una biografia fallace, raccontando quattro generazioni di vicende familiari, e mettendosi alla ricerca della sua identità mancata, usando le “traversie” dei suoi capelli che passano di parrucchiere in parrucchiere e di disastro in disastri, rasatura inclusa, come pretesto del racconto. I capelli come “personaggio, un alter ego”.
Una storia che pare scritta più per sé che per gli altri. Siamo trascinati nella memoria di Mila con tutto quel che ne consegue: frammentarietà, salti narrativi. E questo rende la sua scrittura riconoscibile, ma non sempre facile da seguire. Ma il ricordo è così, quasi mai segue una linea retta. Brava nel creare immagini e suggestioni, lasciando affiorare il tema dell’identità, divisa tra due Paesi, della razza. Eppure di percepisce più un senso di arricchimento che non di estraniamento. Lei stessa scrive che la nostalgia che a un certo punto prova per la persona che non è mai stata, per la sua cultura di origine inesplorata, assomiglia quasi a uno stereotipo. Di fatto, Mila cresce e si forma in Europa.
“Per quanto sia difficile ammetterlo, l’invidiabile ambiente di uguaglianza in cui ho avuto la fortuna di essere educata in Portogallo mi ha tenuto lontana da qualcosa di essenziale che ora sto cercando di ricordare: una nozione chiara delle differenze che mi separano da coloro tra i quali mi è capitato di crescere, coloro che sono state, di fatto, le persone che mi hanno insegnato a capire l’importanza delle differenze di cui sento la mancanza.”
Si aggrappa dunque al passato, Mila, “questo satellite necessario”, per esplorare quelle differenze che non ha mai subito, ma che in qualche modo le appartengono, perché sono la storia della sua famiglia e forse diventeranno la storia dei suoi figli, avendo lei sposato un bianco. Resta soprattutto un romanzo sul ricordo, sull’importanza di non vedere sbiadite le proprie radici.
“Quando del passato non rimarrà altro che lo strascico, la bellezza di una certa vicina, alla ricercatezza di un condimento, il giallo di una balaustra, l’odore di vernice ovunque, “racconta di nuovo nonna” mi diranno i miei nipoti, e io adornerò di giallo la muffa, arricchirò di jindungo il condimento, abbellirò la vicina con un cappello, nel tentativo di non scomparire a mia volta, di farmi inghiottire.”
Laura Franchi