QUASI GRAZIA – La scrittura salvifica di Grazia Deledda e Michela Murgia
“Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti; se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora; se va per la terza volta, lascialo in pace perché è poeta”.
La scrittura rende liberi. È uno dei pochi strumenti che permette di continuare a camminare anche lì dove c’è ben poco da fare liberando la mente e dando vita ai pensieri. Lo aveva capito bene Grazia Deledda, prima e unica donna italiana insignita del Premio Nobel per la Letteratura (1926), quando a 29 anni lasciò la sua terra.
Marcello Fois ce la racconta nel suo Quasi Grazia (un prosieguo del romanzo postumo autobiografico della scrittrice nuorese, “Cosima”) e Veronica Cruciani la porta sulla scena del Teatro India di Roma con una sorprendente Michela Murgia a regalarle il volto, mentre intorno le si muovono i simbolismi sardi che ora appaiono e ora spariscono, come fossero essenza stessa di quella terra. Valentino Mannias nel ruolo dell’iroso fratello Andrea, Marco Prinzi nei panni dell’amato marito Palmiro Modesani e Lia Careddu, una biuda madre rinchiusa nei suoi princìpi culturali che le si insidia nei pensieri, la tormenta e la destabilizza ma, allo stesso tempo, la fortifica e la sprona ad andare avanti. “La donna è donna se non pensa” diceva suo padre, ed è proprio dalla sua famiglia che comincia questo sentimento di odio e amore verso le sue radici e la ricerca di quell’identità di donna che la condurranno verso l’indipendenza e anche agli scontri con le figure maschili appartenenti al panorama letterario italiano della prima metà del ‘900.
Ma la Deledda mantiene integra la purezza delle sue origini: la Sardegna è sempre presente nei suoi scritti, nei suoi pensieri e nell’anima, nella figura del cinghiale, nella guida di Su Componidori – tra superstizioni ed esoterismi – in un scena di Barbara Bessi che si crea e disfa pian piano con i gesti dei personaggi accompagnati dai canti popolari e al ritmo degli arrangiamenti sonori di Francesco Medda, mentre scorrono le pareti e le luci di Loic François Hamelin e Gianni Staropoli prima tenui e poi totalmente accese quando il Nobel la porta a parlare davanti ai suoi lettori.
Nuoro, Stoccolma e, infine Roma, tre città per le fasi cruciali della vita della scrittrice: la partenza, il nobel e la malattia. Tre momenti dove l’unico rifugio salvifico e consolatorio è sempre rimasto solo la scrittura.
Marianna Zito