“QUAL È LA VIA DEL VENTO”: IL DOLORE DELLA FUGA E DELL’ESILIO
Soffia il ghibli, o scirocco che dir si voglia, soffia sulla storia e sui peccati, sulle tragedie, sui silenzi e le afflizioni, soffia indietro negli anni e racconta… Racconta la storia della famiglia Cohen, negli anni che seguono alla guerra arabo israeliana, la perdita della primogenita Leah, il disorientamento della piccola Micol, racconta la fuga dalla Libia verso l’Italia dopo avere tutto abbandonato, proprietà, memorie, lavoro. Ancora vento, fastidioso e crudeltà che ci trasporta, con un balzo in avanti nel 2004, in un viaggio all’indietro, verso i luoghi della memoria in una Tripoli ormai irriconoscibile, da città coloniale a capitale islamica, con Micol, ormai avvocato di successo ma adulta irrisolta, struggente naufraga in un mondo che si modifica, si trasforma, in un mondo che la confonde e la sovrasta impedendole di scorgere e capire quel labile riflesso di sé ha rincorso negli anni e nei sogni.
Il narrato in “Qual è la via del vento” di Daniela Dawan (Edizioni E/O, pp. 240, 17,00 euro) è incalzante, come la storia, con la Guerra dei sei giorni che costringe gli ebrei della Libia al terrore, all’esilio e alla fuga; eppure l’autrice riesce a soffermarsi sulla storia di una famiglia, che forse in parte è anche la sua storia, sui risvolti personali di personaggi indimenticabili, con grazia, riuscendo a trasmettere al lettore atmosfere, colori e sapori di un mondo in tumulto dove l’odio sembra assurgere a protagonista inspiegabile e assoluto.
C’è dolore in questo libro pacato e dolcissimo ma non retorica; la retorica è bene lasciarla ai comizi di Piazza, alle parole altosonanti dei dittatori di turno, la retorica genera promesse non mantenute, imbrogli, inganni. La retorica non serve a raccontare la vita.
Francesco De Masi