“Psicopompo”, l’ultimo romanzo di Amélie Nothomb
Amélie Nothomb nella sua prolifica carriera ha pubblicato ben 32 opere letterarie. Il suo è uno stile che si può semplicemente definire nothombiano, e attribuirle un genere è impresa assai ardua, eppure ogni romanzo è riconoscibile, eppure ogni romanzo è unico. In un’intervista su Minima&Moralia del 2017 afferma: “Penso che sarebbe davvero presuntuoso paragonare il mio lavoro a quello di Balzac ma penso che al mio umile livello anche io sto scrivendo una specie di Commedia umana, o per lo meno sto scrivendo tantissimi romanzi come Balzac, molto più corti dei suoi lavori, però sempre incentrati su situazioni umane. Così forse quando sarò morta potrete mettere assieme tutto il mio lavoro per creare La Comédie humaine di Amélie Nothomb.”
Questo ultimo romanzo, “Psicopompo” pubblicato da Voland (2024, pp. 128, euro 16, traduzione di Federica Di Lella), ci offre qualche elemento di comprensione in più sulla sua natura di scrittrice. Siamo abituati alle sorprese di questa eccentrica e geniale autrice che riesce a stupirci ogni volta con dialoghi serrati, misteri inaspettati e uno spirito che non sembra avere confini. In questo ultimo romanzo però, sebbene resti fedele al suo stile essenziale, manca la crudele ironia e l’umorismo spietato dei suoi precedenti romanzi. Questa volta il racconto si fa più profondo e la narrazione molto intima, offrendo al lettore una chiave di accesso al percorso che l’ha condotta verso il suo destino di scrittrice. Il romanzo può essere diviso in parti, che rappresentano le tappe di un viaggio nel quale gli spostamenti geografici, al seguito dei genitori diplomatici, segnano anche le tappe del suo percorso interiore.
Amélie Nothomb ci racconta come la sua passione per l’ornitologia, già presente in altri romanzi, come in Riccardin del ciuffo, l’abbia letteralmente salvata. L’osservazione degli uccelli ha rappresentato dapprima una via di fuga durante i soggiorni nei luoghi remoti dove seguiva la famiglia, e poi l’ossessione per il volo che l’ha strappata dalla ricerca della morte. La convinzione che, se avesse potuto volare, si sarebbe distaccata dalle cose terrene. In questo romanzo, infatti, la scrittrice racconta il dramma della violenza subita a 13 anni durante il soggiorno in Bangladesh. Poche righe scritte con un uno stile narrativo figurativo che ci parla delle conseguenze di quell’evento drammatico più che dell’evento stesso. Descrive l’anoressia che ne è derivata come un distacco dell’anima dal suo corpo. Racconta il progredire della malattia che l’ha quasi uccisa, l’estraniamento e la scoperta del percorso che ha dovuto affrontare per ritrovarsi, per far rientrare, come racconta nel romanzo, l’anima nel suo corpo.
“Psicopompo” narra dunque di un viaggio personalissimo verso la Amélie Nothomb che conosciamo oggi. Una autobiografia aviaria, come da lei stessa definita in una intervista con Alvin Michel edizioni. Un romanzo breve, tutto sommato, come da tradizione, ma ricchissimo per la varietà e la profondità degli argomenti trattati, ma non solo. Vi è una particolare intensità che non è facile raccontare. Un romanzo importante “Psicopompo” di Amélie Nothomb. Forse il più intimo di tutti, nel quale ci racconta come avvenga il suo personalissimo processo di scrittura. Il momento nel quale rivive la vicinanza con la morte provata negli anni della sua anoressia, dove l’elemento portante era la sensazione di freddo siderale, quando il suo corpo raggiunse una temperatura vicina a quella della morte. Quella temperatura che crolla ogni volta che l’autrice scrive, ancora oggi, ogni volta che ripete l’azione di scrivere. Amélie Nothomb scrive tutti i giorni dall’età di 17 anni, quando ha scritto il suo primo romanzo.
“Cocteau, nella Difficoltà di essere, dà una definizione di ciò che chiama la linea dello scrittore: la grande abilità con cui quest’ultimo, avanzando sulla corda tesa della scrittura, recupera l’equilibrio proprio nel momento in cui sta per cadere…Quando Rilke dice che la scrittura deve essere questione di vita o di morte, io non ci vedo nessuna metafora”.
La scrittura, per l’autrice, rappresenta questo filo sottile. Un processo delicato e quotidiano, in cui l’autrice si trova in bilico. La temperatura che scende vorticosamente, ogni volta le fa rivivere i terribili momenti in cui la morte era così vicina. A causa delle esperienze vissute, ha imparato a decifrare quella morte creando da allora un legame con essa. Quel momento in cui l’anima non riusciva a stare in un corpo che le ricordava qualcosa che il mondo attorno a sé aveva rimosso. Il suo corpo non aveva potuto processare e superare quel trauma. Quel corpo che si era ammalato e grazie allo psicopompo della mitologia greca, Caronte, è riuscito a tornare, come Orfeo, al mondo dei vivi regalandoci, ogni volta, incredibili esperienze di lettura. Dunque, un romanzo diviso in parti, ognuna delle quali affronta una fase della propria vita. La narrazione del suo percorso personalissimo verso la rinascita, verso la scoperta della sua qualità come autrice e il suo rapporto con la morte. Tutto questo, in un romanzo di poco più di cento pagine grazie alla capacità dell’autrice di descrivere mondi complicatissimi in poche righe.
Federica Scardino