“Porti ciascuno la sua colpa” di Francesca Mannocchi: cronache dalle guerre dei nostri tempi
In “Porti ciascuno la sua colpa” (Laterza, 2019, 240 pagine, euro 18), Francesca Mannocchi ci dà una lezione importante: bisogna imparare a guardare, bisogna costringersi a guardare, e guardare tutto, non il singolo dettaglio bensì l’intero contesto.
Su questa base sviluppa il suo racconto, una serie di testimonianze raccolte tra il 2017 e il 2018, principalmente a Mosul, capitale del califfato, ma non solo. Quello che ci accompagna nella lettura, è un coro di voci a cui viene dato eguale spazio, perché tutti hanno la propria verità. Il padre che si è visto strappare il figlio analfabeta dall’Isis, e per questo lo ripudia. I bambini, che alle lusinghe dell’Isis non hanno abboccato, ma ne portano comunque i segni dentro e fuori. I ragazzi, la cui missione e aspirazione è morire da martiri. I medici, che devono scegliere chi curare, perché tutti non si può, non si riesce. Soldati dell’esercito iracheno che fanno quel che viene loro chiesto, “ripulire”, qualunque mezzo richieda, chiunque ci vada di mezzo: case, cecchini, persone colpevoli di aver appoggiato Isis o presunte tali. Donne e uomini nei campi profughi che, a pochi metri di distanza, ospitano vittime e carnefici dell’Isis. Proprio le vittime e i carnefici sono la chiave di ogni guerra e il seme di ogni guerra che verrà. Non esiste mai un dopoguerra o un fine guerra: ci sono sempre la rabbia, la disperazione, il dolore, la fame, il desiderio di riscatto che presto o tardi si trasformeranno in un nuovo gruppo armato, in un ciclo senza fine.
La Mannocchi ci costringe a ragionare su una realtà estremamente complessa, in cui per molti Isis ha significato fine della fame e di molestie quotidiane; per molti altri solo terrore. Per tutti, certamente morte. Emergono, duri, tutti i meccanismi della guerra: gli interessi economici, il desiderio di potere, la sottomissione di chi, anche psicologicamente è più debole e malleabile, il “tu lo fai a me, io lo faccio a te col doppio della ferocia”. E il ruolo dell’Occidente? Attori non protagonisti, ci dice la Mannocchi, disposti ad accettare la violenza, se serve a farci stare tranquilli e al sicuro. Forse la colpa maggiore dell’Occidente è stata quella di sottovalutare il “fenomeno Isis”, di ridurlo a questioni economiche e materiale, ignorando un punto fondamentale: l’Isis ha dato a molti un’idea di futuro, una “ragione superiore allo smarrimento”. C’è qualcosa di più potente?
I pugni allo stomaco che la Mannocchi ci dà in questa pagine sono tanti, e tutti necessari.
Laura Franchi