“Poesia e Pazzia” di Leopoldo María Panero
“Un uomo può essere pazzo a Parigi e sano di mente in Guinea, o ragionevole a Reuilly-Diderot per Mercedes e matto come un cavallo per lo spazzino della metro del Louvre, che lo vede parlare da solo con Mercedes”.
È una famiglia di poeti quella di Leopoldo María Panero (1948-2014), uno tra i più significativi poeti, narratori e saggisti contemporanei spagnoli. La poesia sarà una costante per tutta la sua vita sin dall’infanzia, raggiungendo il suo apice quando deciderà di raccontare la follia, il mondo dai centri psichiatrici, che iniziò a frequentare alla sola età di diciannove anni e dove decise, in seguito, di vivere volontariamente come ospite, con libertà di uscita. È la scrittura la sua via di fuga, la sua libertà. Conobbe, altresì, nella sua vita la prigione, dove iniziarono le sue prime forme di schizofrenia e uso di alcol e droghe.
“Siete voi quelli in carcere, non io.”
“Poesia e Pazzia” (El Doctor Sax, pp. 168, euro 15, tradotto in italiano da Noemi Neri) è un volume ricco e complesso, che racchiude in sé non solo l’animo del poeta ma quello di tutta la follia che, in qualche modo, lo ha toccato. Inizia, infatti, con El Globo Rojo, ovvero una raccolta di Poesie, testi, disegni e riflessioni degli ospiti del manicomio di Mondragón, dove il linguaggio sin da subito è protagonista, attraverso quella sua fragilità per cui “il senso che esprime si perde nella lotta tra coscienze, nel loro scontro quotidiano nel mondo, dove, come diceva Hegel: ‘ogni coscienza cerca la morte dell’altra’. Una guerriglia quella del linguaggio, dove la mancata linearità del segno, legata alla sopraffazione del pathos, altro non porta se non alla follia, che costruisce da sé le proprie leggi. Ed ecco, quindi, la poesia dura, oscura, lacerante, simile alla pittura astratta che si mescola anche alle parole di Diario del manicomio de Mondragón. Racconto di un omicidio, scritto dallo stesso Panero.“Conosce la condizione umana fino ai limiti in cui lo spingono le sue crisi e parla continuamente, fuma senza sosta, recita in varie lingue e fa suo ciò che recita o ciò che riscrive” scrive Wences Ventura nella sua introduzione, una sintesi perfetta della figura di Panero.
La seconda parte del volume raccoglie frammenti Poesie del Manicomio di Mondragón, accompagnate da citazioni di Mallarmé e un breve saggio sulla follia dal titolo Riguardo al caso Dreyfus senza Zola o la casualità diabolica. La fine della psichiatria, in cui affianca il proprio caso a quello di Alfred Dreyfus, definendoli con un effetto “a palla di neve”, ovvero “si inizia con una piccola ingiustizia e si continua con un’altra e un’altra ancora fino ad arrivare all’ingiustizia più grande, la morte”. Segue un Collage Panerista. Desencantado che raccoglie fotografie dell’infanzia e dell’adolescenza del poeta, arricchite da frasi didascaliche; per finire con l’ultima ed esaustiva intervista di Federico Utrera al fratello del nostro poeta, Michi Panero, Trattato della desolazione.
“Leopoldo crede di essere la poesia e questo lo salva… suppongo.”
Marianna Zito