PITECUS – Antonio Rezza al Centro Lucia di Botticino Sera (BS)
«Pensavi che era finito e ti sei pure messo la sciarpa, hai fretta di andare a casa, ma checciavrai a casa? Me trasferisco pure io, me prendo la cittadinanza». Questa battuta (rivolta a me in prima fila) è stata forse una delle ultime moltissime divertenti provocazioni dirette al pubblico di Antonio Rezza, che già – dopo numerosi bis – aveva salutato due o tre volte, senza inchinarsi, ma esultando piuttosto – con il dito in alto come uno che ha appena fatto gol – con saltelli da satiro mentre gli applausi si facevano fragorosi, commentando «Giustissimo, giustissimo!», e togliendosi per qualche istante la maschera con ghigno stiratissimo a favore di un sorrisetto “più borghese”, preludio all’incontro col pubblico in camerino.
Per raccontarvi la bellissima serata di ieri sera, condivisa con un gran numero di spettatori – che hanno applaudito a scena aperta e riso abbondantemente per circa un’ora e mezza – siamo partiti anche noi dalla fine, contro ogni buona creanza e convenzione. Parliamo del divertentissimo spettacolo Pitecus, ormai un classico del Nostro (se pensiamo che la prima risale alla metà degli anni Novanta), uno spettacolo che fa della messa in discussione di ogni patto teatrale tradizionale la propria forza. Abbiamo detto delle battute a volte ironicamente denigratorie ai danni del pubblico: questo è certo uno stratagemma classico per ogni comico e cabarettistia che si rispetti (ma anche il rispetto è convenzione da mettere in discussione), e infatti Rezza lo trasforma in vera e propria “cornice” che raccoglie e soprattutto ritma i suoi bizzarri episodi, o per meglio dire quadri di humour nero taglienti e simpatici al tempo stesso. Non si tratta quindi di una narrazione coesa o di una commedia, ma di uno spettacolo a episodi, una sequenza di “pezzi”, presentati in modo anomalo, con la successione imprevedibile di panni multicolori stesi al filo. Le storielle infatti fuoriescono – tramite brandelli di viso, braccia, mani o gambe dell’attore – dai buchi ricavati negli splendidi e bizzarri tendaggi colorati in scena (opera di Flavia Mastrella, l’altra metà della compagnia da trent’anni sulle scene indipendenti e in questi ultimi anni premiata e consacrata anche dalla critica ufficiale), come personaggi burattini, infinite marionette di se stesso, rappresentazioni di tipi umani (o meglio disumani) rese con rodatissime smorfie e voci improbabili e cangianti.
I testi sono barzellette che richiamano alla tradizione popolare, per il ritmo, la situazione spesso famigliare e la parlata romanesca, se non fosse appunto per alcune tematiche “pesantissime”, trattate con ironia sfacciata e spesso al limite della decenza (violenza sessuale, incesto, droga, disabilità e altro): ma il patto che si è “obbligati” a stringere con Rezza è già sancito dopo i primi minuti, quando si diventa (con quasi colpevole piacere) complici di questa sfrontatezza ridicola e grottesca, percependo chiaramente di essere tutti sulla stessa barca, e soprattutto che è meglio stare desti, e perché no divertirsi, dato che ci sarà tutto il tempo per un eterno riposo! Altra bizzarria di queste barzellette è di certo che i finali sono inusitati e inaspettati, o più semplicemente non fanno ridere, e danno modo a Rezza di giocare fin da subito su questa apparente mancanza di forza testuale, facendola diventare struttura e continuo appiglio per irridere il pubblico che non capisce, vero e proprio leitmotiv dello spettacolo.
Nella costruzione del proprio lavoro teatrale Antonio Rezza si pone su un buffo piedistallo, continuamente in bilico per rovinare sulle maschere di se stesso, tra asfissianti tipizzazioni di personaggi con una loro assurda e distruttiva visione del mondo. Nel vedere in azione questo esempio unico della comicità teatrale italiana contemporanea – esperienza che consiglio a tutti di fare – mai si ha la sensazione di intellettualismo fine a se stesso, né di puro cinismo o supponenza: lo scopo principale per Rezza, a nostro avviso, è catturare lo spettatore nell’assurda frenesia di un ritmo comico straordinario, e svelare che questa frenesia è anche nostra; è anche nostra l’irrazionalità pervicace con cui agiscono queste maschere di carne, sono anche nostre queste scelte sbagliate e cattive, perché anche noi siamo multiformi spettatori (e attori) di un mondo preda del caos che ci conduce alla morte. Ma tutto ciò è estremamente ridicolo! Bravissimo Antonio Rezza e bravissimo il pubblico che, più o meno consapevolmente, ha partecipato al ritmo in qualità di cornice (un po’ come i Feaci al racconto di Odisseo) e ha gremito la sala del Centro Lucia di Botticino, alle porte di Brescia.
Giovanni Peli