Piero Migliacci raccontato da Veronica Meddi. Intervista all’autrice
Abbiamo incontrato la critica teatrale, giornalista e ora scrittrice Veronica Meddi, che ha appena pubblicato per Manfredi edizioni il suo primo libro “La vittoria di Piero”.
Come è finita una donna di teatro come Veronica Meddi in una barbieria al centro di Roma? (Sorride) Ecco, questa domanda sono stata io stessa a farmela svariate volte. Ma la vita – lo scrivo sempre – è la più grande drammaturga. Un giorno di quattro anni fa, era gennaio, mi chiamò Alessandro, il figlio di Piero – il suo naturale continuum – e mi chiese di romanzare la vita del padre. Voleva fargli questo regalo. Ci incontrammo proprio nella Barberia, e seduti sulle poltrone Alessandro mi raccontò questa storia intrigata e affascinante; ma ciò che mi fece decidere di prendermi questo sensibile impegno – e, in un certo senso, immedesimarmi poi in un uomo calabrese di un’altra generazione -, fu la dolcezza e l’orgoglio che si manifestavano sul viso di quello che era un figlio innamorato di suo padre. Ci incontrammo solo in due occasioni, sempre lì in barbieria. Nella prima intervista Alessandro mi parlò di Piero, nella seconda mi parlò di lui e della sua scelta di seguire le orme paterne. Poi mi consigliò di dire al padre una bugia – bianca – e fermammo un appuntamento col signor Migliacci Piero.
“La vittoria di Piero”, un titolo importante avvalorato da un sottotitolo altrettanto considerevole, “Il principe dei barbieri, il barbiere dei principi“. Perché?
Il primo incontro con Piero, avvenne quattro anni fa nell’Antica Barbieria da Peppino – dopo qualche mese arrivò il Covid. Ebbi subito la percezione che quest’uomo fosse dotato di un forte carisma e un’energia magnetica. Il suo viso, la sua voce, parola dopo parola – fiumi di parole, poi – andavano a raccontarmi – come copione vuole – di un uomo di successo; i suoi occhi scintillanti di vita, invece, mi rivelarono, successivamente, la sua forte sensibilità. Quindi, percepita quella luce, subito mi venne alla mente la frase di Jean Jacques Rousseau “Vuoi sapere se qualche scintilla di questo fuoco divorante ti anima?” – frase che ho scelto proprio ad apertura romanzo -. Ecco, Piero è una di quelle persone vincenti che non ti danno proprio modo di chiedere ciò che già appare evidente agli occhi di tutti. Quale titolo più adatto? Mi è sembrato naturale che l’aristocrazia – non solo romana – scegliesse lui.
La foto in copertina è enigmatica, diciamo che sembra precedere un’azione. Accattivante, quel viso d’uomo che si manifesta uscendo dal buio.
Sono felice che tu mi inviti a parlarne. La foto è a firma del grande Maestro Tommaso Le Pera. E la cosa fantastica è che le sue foto di meravigliosi spettacoli teatrali mi hanno sempre affascinata, e quindi avere questa copertina per il mio primo romanzo è per me un dono ‘spettacolare’. Prima di andare in teatro è sempre stata mia abitudine non leggere nulla dello spettacolo in questione. Ma, già guardando le foto di Tommaso alcune emozioni mi venivano anticipate. È vero, nelle sue foto c’è azione. Ecco perché parli di un’azione nel viso di Piero.
Ci troviamo immersi in una saga familiare. Cosa ha significato per te ritrovarti a scrivere e descrivere un periodo che non ti appartiene e luoghi che non hai vissuto?
In realtà, sono ormai trent’anni che vado in teatro e immedesimarmi con le migliaia di personaggi sulla scena è stato sin da subito una mia condizione naturale. Per non parlare di quelli dei romanzi letti e recensiti. Mi sono sentita fortunata, è stato come essere io stessa un personaggio che si muoveva delicatamente e superpartes tra i personaggi del romanzo. Mentre scrivevo il romanzo, per saperne di più, intervistavo i pescatori nei miei luoghi di vacanza, mentre scrivevo le ricette dell’epoca mi facevo aiutare da un mio caro amico chef, per scrivere la parte in cui Piero è in Germania ho chiamato una mia vecchia amica che ha vissuto in Germania tanti anni. A un certo punto, senza neanche rendermene conto, ho persino iniziato a sentire l’odore del mare di Schiavonea, a veder nascere l’amore tra Piero e Carmela – come sia stato il loro primo bacio non lo so, gli ho dato un contesto, ma non ho voluto invadere l’intimo dei personaggi/persone e ho lasciato libera la fantasia -, a sentire le loro emozioni. Ero lì anche quando nascevano Eugenio, Paola e Alessandro. Sensazioni forti che hanno annullato gli spazi dei nostri diversi vissuti.
Tra tutti i personaggi/persone a chi ti senti più legata o, meglio, chi pensi ti rassomigli di più.
Vedo la famiglia Migliacci come un’unica entità. Ognuno di loro ha comunque le proprie caratteristiche. Mentre scrivevo mi sentivo Carmela – una donna che ama la vita -, ma fuori dal romanzo posso dire che io e Piero siamo una specie di gemelli – diversi, ovviamente -. Credo che io e lui abbiamo un temperamento simile. Per farti un esempio: c’è una scena nel romanzo che vede Piero in un cimitero che parla con i defunti e si arrabbia con chi mette loro foto sorridenti e fiori finti. Io e lui non abbiamo mai parlato di questo, eppure eravamo d’accordo. Ci sono molti aneddoti della mia vita proiettati nel racconto di questa storia. Un altro esempio è quando nasce Vittoria la figlia di Alessandro e suo fratello Andrea si ingelosisce. Ecco, è questa una scena di quando nacque mia sorella Alessia e io mi feci venire quaranta di febbre per gelosia (sorride). Vedi, questa è la bellezza del racconto: umanità che si incontrano e si amalgamano.
Cosa rappresenta oggi Piero Migliacci per Veronica Meddi?
A questo punto, dopo quattro anni di conoscenza, posso dire tranquillamente che quel signor Migliacci è diventato uno dei miei super eroi preferiti.
Qual è il risvolto di un’esperienza così profonda, quasi intima direi…
L’amicizia vera. In questi anni sono stati molti i confronti e gli scontri, e poi gli abbracci; l’amicizia vera è così. La ricerca di un punto d’incontro e lo scendere a compromessi. Con l’uscita di questo romanzo abbiamo vinto insieme, ed è bellissimo.
Per il futuro? Veronica Meddi scriverà ancora per noi?
Se parli di un nuovo romanzo, posso già dirti che è nel cassetto della mia scrivania già da un po’ e che sta facendo rumore per attirare la mia attenzione. Dovrò farlo venire fuori da lì.
Marianna Zito