Peter Stein porta in scena “Il Compleanno” di Pinter al Teatro Menotti di Milano
The Birthday Party, tradotto in italiano con il titolo “Il Compleanno” fu tra le primissime opere teatrali scritte dal drammaturgo inglese Harold Pinter. Rappresentata per la prima volta nel 1958, ottenne molte critiche e pochi elogi, ma col tempo divenne, insieme alle opere successive, un’opera di rilievo. In Italia venne messa in scena per la prima volta a Milano nel 1973 al Teatro Uomo, con la regia di Massimo Binazzi; nel 1980 venne invece diretta da Carlo Cecchi, che portò l’opera a Firenze al Rondò di Bacco.
Al Teatro Menotti di Milano, dal 27 ottobre al 13 novembre, l’opera in tre atti “Il Compleanno” viene diretta da Peter Stein, rinomato regista tedesco che da anni vive in Italia, con un cast d’eccezione: Maddalena Crippa, Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci, Fernando Maraghini, Alessandro Sampaoli, Emilia Scatigno.
Harold Pinter ha uno stile tutto suo, e chi fa e studia teatro lo sa molto bene. Il drammaturgo inglese è molto abile nel creare situazioni surreali, che mettono in luce l’intricato groviglio dell’animo umano, esaltandone le parti più problematiche, spesso le peggiori.
Nel caso specifico di The Birthday Party, l’ambientazione è casalinga: un ampio soggiorno in primo piano, che mette bene in vista un tavolo e delle sedie, mentre in secondo piano si trova la porta della cucina e una finestra passavivande. Sulla destra, una porta che conduce in giardino. L’intera vicenda si svolge nell’arco di poco più di ventiquattr’ore. È mattina e seduto al tavolo c’è un uomo di mezza età, Petey, che legge il giornale; sua moglie Meg gli sta preparando la colazione e nel mentre conversa con lui in modo vivace. Meg e Petey Boles gestiscono una pensione in una località marina, e da un anno danno ospitalità a un solo cliente, il giovane Stanley, un ex pianista. È un giorno apparentemente ordinario, se non fosse per l’arrivo di due nuovi ospiti, il signor Goldberg e il signor McCann. In più, quel giorno è il compleanno di Stanley e, su suggerimento di Goldberg, viene organizzata una festa per Stanley, che, sebbene sia riluttante, si lascia trasportare dagli eventi. E saranno eventi che influiranno in modo sostanziale tutti i partecipanti.
Un’opera senza dubbio molto potente, in cui l’autore fa esplodere la complessità dell’animo umano attraverso i rapporti tra i personaggi. Nessuno di loro è come sembra, e, anche se in modo molto diverso, il cambiamento portato all’interno della routine dei coniugi Boles, e di Stanley in particolare, porterà a galla rancore, rimpianto, rabbia, e ricordi. Poco importa se si sa poco dei personaggi e se tra di loro sia presente o meno un rapporto di confidenza: ognuno sfoga prima o poi sugli altri le proprie convinzioni e la propria vera personalità. Il gioco di mosca cieca durante la festa di compleanno di Stanley si trasformerà presto in un gioco al massacro.
In scena, Maddalena Crippa, nel ruolo di Meg, è esilarante, sopra le righe nell’interpretazione di una casalinga trasognata e ingenua. Molto più pacato il marito Petey, interpretato da Fernando Maraghini, che va a placare la spiccata vivacità della moglie. Stanley è interpretato da uno straordinario Alessandro Avarone: un personaggio misterioso dall’inizio alla fine, dalle turbolenze interne che si percepiscono fin dalla sua entrata in scena. La sua evoluzione (o forse meglio involuzione) è tanto graduale quanto potente nel suo climax. Emergono tutte le sue frustrazioni, più con i gesti e il corpo stesso che con le parole. Goldberg e McCann, rispettivamente Gianluigi Fogacci e Alessandro Sampaoli, sono impeccabili e straordinari nel portare in scena dialoghi e monologhi complessi e dai ritmi serrati. Infine Emilia Scatigno, nel ruolo di Lulu, da quel tocco di giovinezza spensierata e poi amaramente illusa. Un plauso ai costumi di Anna Maria Heinreich, che hanno creato un tutt’uno con i personaggi, creando i giusti involucri per i loro spiriti irrequieti.
Da vedere.
Roberta Usardi