“Perché ci hai messo tanto?”: l’esilarante stile di Enzo Papetti racconta tre storie d’amore
“La gente se la cava come può, ma non dovrebbe accontentarsi di attendere che il caso disegni le sue impronte. È così che la civiltà si dissolve.”
Capita a molti di aspettare per tanto tempo che qualcosa si realizzi, qualcosa di inconfessato e inconfessabile, come per esempio un sentimento d’amore. Succede poi che, dopo diversi anni, il caso, se mai esiste, fa in modo che questo qualcosa finalmente accada. Ed è proprio nel momento in cui avviene questo compimento che le parole a lungo trattenute escono, sincere e spudorate: “perché ci hai messo tanto?”, una perfetta sintesi che va a colmare un vuoto, forse anche a portare pace a una perenne e sottile irrequietezza interiore.
A fornire esempi esaustivi di questo concetto ci ha pensato Enzo Papetti, nel romanzo intitolato proprio “Perché ci hai messo tanto?” (elemento 115, 2021, pp. 368, euro 18), secondo capitolo di una trilogia iniziata con “L’oggetto piccolo b” (qui la recensione).
In questo romanzo il protagonista è l’amore, che si insinua in tre storie separate, ma che collegano i protagonisti: il lettore si vedrà coinvolto nelle frizzanti conversazioni di David e Martina, di Riccardo ed Erica e di Ruth e Filippo. Alla loro vita accade qualcosa, che riporta in movimento un ingranaggio interiore che sembrava arruginito. Si muove insieme a tutto il resto, che oltre all’amore, riguarda la realtà del presente, compresa la pandemia. Infatti, le vicende si svolgono durante una serata d’autunno, nel 2020, in un momento storico molto delicato e molto confuso e sotto una pioggia battente.
Poliedrico quindi, multisfaccettato, un po’ ibrido, ma anche aulico e a tratti satirico. “Perché ci hai messo tanto?” non è solo un romanzo, ma un’opera variegata e flessibile, a cui Enzo Papetti dona uno stile esilarante, acuto e spassoso, a volte volutamente criptico (ma per questo verranno in aiuto al lettore le note in fondo al libro) e con collegamenti a canzoni, film, opere d’arte e preziosi album storici. Non a caso il sottotitolo annuncia:“non c’è ironia senza rock and roll della ragione”.
In conclusione, vorrei fare una breve riflessione personale. “Perché ci hai messo tanto?” l’ho chiesto anche a me stessa quando ho terminato la lettura di questo, perché rispetto alle mie solite tempistiche, questa volta sono stata molto lenta. Ci ho messo tanto, è vero, ma ho scoperto che alla fine è stato meglio così, era necessario darmi del tempo per poter godere appieno di ogni pagina, di ogni parola aguzza, di ogni pizzico di ironia.
Grazie a Enzo Papetti, David Shammah, Beniamino Ethan Papetti, Sergio Scalpelli, e a tutti i personaggi, e poco importa se sono reali o immaginari.
Roberta Usardi