“Per ogni parola perduta”, un filo da riannodare
“Per ogni parola perduta” (Mondadori, pp. 355, euro 20) è il nuovo romanzo di Benedetta Cibrario, autrice fiorentina di nascita e ormai trapiantata a Londra, Premio Rapallo Carige 2010, e finalista Premio Strega 2019.
“Non riesco a fare pace con il pensiero che l’esistenza lascia dietro a sé solo buchi. Che le nostre vite non sono altro che un intreccio di fili intorno al vuoto.”
A Oxford, Sofia si confina in casa dopo la morte improvvisa del marito Nicola Obreskov, storico accademico, sul punto di concludere uno studio sui russi immigrati in Italia fra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento.
L’amico Edmund, con i suoi metodi, e anche per un suo personale tornaconto, forza Sofia a uscire dal suo isolamento e a riprendere il lavoro di restauratrice di tessuti: è infatti appena riuscito ad aggiudicarsi all’asta una mongolfiera levatasi in volo a Chambéry nel 1784, e bisognosa di un restauro. Dopo molte insistenze, Sofia accetta e accetterà anche di recarsi a Chambéry, per qualche ricerca in più. Qui conoscerà Pauline, erede tanto appassionata quanto cocciuta di una celebre libreria antiquaria. Troveranno punti di incontro sul piano personale, ma soprattutto, grazie a un inaspettato filo conduttore, ognuna riuscirà a sbrogliare la propria matassa interiore.
In un mondo in cui di ben poco abbiamo il controllo, perché tutto è “ridicolmente provvisorio”, i protagonisti di queste pagine, vuoi attraverso il proprio lavoro vuoi con le loro passioni, cercano di mettere insieme pezzi di vite e storia. Quattro persone che a un certo punto, proprio come i fili di passato che maneggiano, si intrecciano.
“Comunque adesso la mia vita funziona. Rifletto sul verbo che ha usato e mi sembra calzante, si vive nel tempo, sommando i giorni gli uni agli altri, finché non arriva qualcosa che intralcia il movimento, lo inceppa, e bisogna aspettare che il meccanismo riprenda a funzionare, come ha detto Pauline.”
La storia, intesa come epoca e come trama, è proposta come un insieme di lenti che vanno regolate per la messa a fuoco di un accumulo sconcertante di dettagli. Utili e inutili.
C’è un’idea costante di provvisorietà, in cui il tentativo di ricostruire una vecchia mongolfiera, movimenti migratori da un paese all’altro, la storia di un libro, è allo stesso tempo un tentativo per affermarsi, per non scordare, per non volare via senza aver lasciato un’impronta. E, forse ancora di più, per prendere lo slancio necessario ad andare avanti. Guardare/guardarsi come dall’alto di una mongolfiera, per vedere messi insieme i pezzi di un tutto che a volte pare insensato e incomprensibile.
“E non dare retta a Trevor, se ti dice quella cosa che la vita è preziosa perché è fragile. La vita è preziosa perché è luminosa, perché è oscura, perché è difficile, perché è breve, perché è lunga, perché è densa, perché è capricciosa, perché è solitaria, perché è caotica, perché è tua. Ma la fragilità non c’entra niente. La vita è vita, nient’altro.”
Laura Franchi