PER IMPARARE A NUOTARE DA SOLI, INSIEME – “LA CLASSE” DI VINCENZO MANNA
Andato in scena negli scorsi giorni al Teatro Elfo Puccini di Milano, (e con ancora diverse tappe previste in tournée per tutta Italia), “La Classe”, della Compagnia Accademia Perduta Romagna Teatri, per la regia di Vincenzo Manna, ci riporta di nuovo all’interno di una scuola, come accade in tanto cinema e teatro più o meno recente, ma ogni aspettativa che potrebbe creare il genere è presto disattesa.
Siamo in una città europea (mai meglio identificata), di cui anche lo spettatore intuisce e respira subito l’aria di paura e minaccia incombente. Il contesto è spiazzante, distopico (ma poi in fondo, quanto lontano dal nostro presente?): a poco a poco apprendiamo della crisi economica, della criminalità dilagante, del fatto che la città è divisa da un fiume e oltre il fiume c’è lo “Zoo”, un enorme campo di rifugiati, circondato da un muro in costruzione e percepito come fonte di pericolo costante. Unità di luogo, quella di un aula all’interno di un Istituto comprensivo per l’avviamento professionale; la scenografia di Alessandro Chiti comunica disagio, senso di abbandono che trapela dagli arredi disordinati, rovinati, dalle pareti sporche, dal pavimento coperto di carta straccia. Come se qualcuno quell’aula l’avesse sgombrata da tempo. Invece compare Albert (Andrea Paolotti), giovane professore alle prima armi, a cui viene affidato il corso pomeridiano di recupero crediti per sei alunni sospesi per motivi disciplinari. Il preside (Claudio Casadio) lo avvisa: è inutile impegnarsi a fare veramente lezione, i ragazzi sono un caso disperato; l’importante è che completino il corso per accedere agli esami, nessuno vorrebbe ritrovarseli a scuola per un nuovo anno. La drammaturgia di Vincenzo Manna fa di questi adolescenti dei “tipi” che possano rappresentare ogni tema caratterizzante la realtà sociale esterna. Vasile, Maisa, Petra, Talib, Arianna e Nicolas (nell’ordine Edoardo Frullini, Cecilia D’Amico, Giulia Paoletti, Haroun Fall, Valentina Carli e Brenno Placido) sono mondi chiusi, cresciuti in un mondo violento e pertanto capaci solo del linguaggio della violenza, pieni di paure, come qualsiasi adolescente, cui non sanno trovare risposte. Sono diversi tra loro per etnia e religione, ma i loro pensieri sono appesantiti dai pregiudizi razziali. Il professore si scontra contro questa corazza ma non si arrende, capisce che per scalfirla deve mettere a nudo prima di tutto se stesso, le sue paure, i sui problemi. Non c’è autorità da riconoscere, solo un altro (da) te che chiede di essere ascoltato. Albert accompagna i ragazzi in un processo di maturazione, apertura, visione di un futuro possibile all’orizzonte, coinvolgendoli in un progetto sul rapporto dei giovani con la storia, da portare a termine insieme per raggiungere l’obiettivo di un premio europeo. Eppure non sempre si può ottenere la vittoria: non tutti riescono ad imparare a nuotare da soli, non tutti raggiungono la sponda dove Albert voleva condurli in salvo.
Lo spettacolo procede con forma compatta e ritmo efficace, scandito dalle musichedi Paolo Coletta, e dalle lucidi Javier Delle Monache, che disegnano i cambi di scena in pittoriche ed efficaci silhouette. Le prove di tutti gli interpreti sono intense, e soprattutto i ragazzi danno il massimo di se stessi, nel caratterizzare i propri personaggi con energia e umanissime sfumature di forza e fragilità insieme, rendendoli “memorabili” e catturando l’emotività degli spettatori. D’altro canto però la pluralità di temi cui si è voluto dare rilievo – crisi adolescenziali, efficacia dei sistemi educativi, paure strumentalizzate dalla società, scoperta che il pericolo è più vicino a noi di quanto si pensi, violenza familiare e nelle aule scolastiche, l’immigrazione e i rifugiati come falso spettro, il Muro, guerre lontane e vicine con eccidi sempre figli dello stesso odio… – finisce per appesantire a tratti il racconto e soprattutto con il lasciare poco spazio all’approfondimento di ciascuno spunto. Rimane però innegabile la volontà sincera di creare un lavoro che abbia una valenza educativa, civile e sociale, dando vita ad una sinergia nella preparazione che ha coinvolto molti enti diversi in un’unica rete; co-prodotto infatti da Accademia Perduta/Romagna Teatri con Società per Attori e Goldenart production, e con il sostegno di Amnesty International Italia, lo spettacolo è figlio di un lungo progetto di ricerca. Punto di partenza, un’indagine condotta da Tecnè e basata su circa 2.000 interviste a giovani adolescenti tra i 16 e 19 anni, riguardo il loro rapporto con il diverso, inteso come altro da sé, e la capacità di intendere il tempo stabilendo legami tra il proprio presente, il passato e il futuro. Molto importanti sono stati infine gli incontri nelle scuole con i ragazzi prima o dopo la visione dello spettacolo, organizzati dalla Compagnia insieme ad Amnesty, Baobab Experience, SIRP – Associazione Italiana per la Riabilitazione Psicosociale e l’ente di formazione Phidia, volti ad approfondire le macrotematiche che sono al cuore di questo lavoro.
Mariangela Berardi