“Paese di Piazzisti”, il nuovo singolo di Giangilberto Monti, tra forti dubbi e grandi speranze – L’intervista
Un chansonnier, ma anche un attore, uno scrittore e un compositore, autore di teatro, produttore discografico, studioso della canzone francese e un esperto della comicità musicale italiana e della storia del cabaret moderno. L’artista in questione che racchiude in sé tutti questi mondi è Giangilberto Monti, che ha da poco pubblicato il nuovo singolo “Paese di piazzisti” e il relativo videoclip diretto da Riccardo Covino e Andrea Trombetta degli Aera Studios di Torino. La brillante carriera di questo artista poliedrico conta ben 17 album come cantautore e interprete e una pluriennale esperienza alla Radio Svizzera Italiana (RSI). In occasione del nuovo singolo lo abbiamo contattato telefonicamente per avere qualche informazione in più.
Come è nata “Paese di Piazzisti”?
Spesso quando scrivo una canzone o uno spettacolo passo ore con amici, per esempio Ubi Molinari, che viene da un mondo blues e gestisce uno dei locali storici della Milano dei Navigli, forse uno dei primi locali aperti negli anni 70. Parliamo di tutto e questa canzone è venuta fuori dalle mille telefonate che ci siamo fatti in questo periodo, in cui ci siamo chiesti cosa stesse succedendo. Stiamo passando un periodo irripetibile nel bene e nel male, un grande momento di passaggio: la scienza, la cultura, la tecnologia, la musica si stanno trasformando. Il mondo discografico sta perdendo quota ed è chiaro che ognuno cerchi a proprio modo di esprimere questo passaggio. Non sono in gara a Sanremo, ma se lo fossi canterei questa canzone, anche se non sono un cantante pop.
Come mai ha scelto di pubblicare “Paese di piazzisti” proprio in questo periodo?
Ho voluto pubblicare “Paese di piazzisti” perché non ne potevo più, è una sorta di lancio amaro con una speranza di fondo: coltivo forti dubbi, ma ho grandi speranze. Volevo fotografare il degrado, la situazione politica che stiamo vivendo. Noto un involgarimento abissale del linguaggio e della comunicazione e anche un degrado culturale. Io non sono un politico o un opinionista e non mi permetto di dare giudizi, ma come artista posso spalancare finestre, dare sensazioni. Molto spesso uso delle metafore, ma qui le metafore non ci sono, la poetica è la prosa di quello che ci sta accadendo: è proprio un racconto in musica, infatti ho voluto fare un video che in qualche modo completi questa sensazione. Si tratta di una canzone vera, che riflette la mia ricerca di questo periodo, partendo da un cantautorato classico, folk, ballad, mixandolo con un mondo più moderno. Non potendo fare spettacoli o raccontare in un album le mie sensazioni, con i singoli è più facile, diventa una sorta di necessità di comunicazione perché oggi il digitale riesce ad arrivare là dove la pandemia non riesce.
L’arrangiamento è stato affidato a Ottavia Marini, come l’ha incontrata?
Ottavia Marini è una giovane pianista di origine classica con cui ho fatto lo spettacolo “Maledetti francesi” sulla canzone francese; frequenta e conosce un mondo di musicisti bresciani che lavorano nel campo dell’elettronica e della ricerca. Lei, come i collaboratori che tengo e curo da anni, sono il mio cerchio magico.
“Paese di piazzisti” sarà seguita da un altro singolo?
No, ma tra un mese / un mese e mezzo uscirà invece un album antologico con la Sony, che fu la mia prima casa discografica. Poi vorrei fare uno spettacolo a maggio al Teatro Verdi a Milano, ma non si sa ancora se si potrà fare, è stato programmato sperando che possa andare in porto, il teatro è la mia dimensione più vera e più completa.
Come sarà questo spettacolo?
Sarà incentrato molto sull’attualità e su ciò che sta accadendo, anche se le canzoni le avevo già scritte. “Paese di piazzisti” lo chiuderebbe molto bene: quando alla fine dico “è solo un brutto film, con la pubblicità” mi auguro che il film finisca e qualcuno racconti un’altra storia.
Nel 2020 ha pubblicato un altro singolo “Maison Milano”, sarà compreso nel nuovo disco?
“Maison Milano” è stato pubblicato l’anno scorso ed è una canzone melodica e struggente, legata alla mia città di origine. Era un desiderio di reagire alla situazione. Non sarà nel nuovo disco, ma vorrei raccontare una cosa al riguardo. Non sono molto bravo a usare i social e internet, non fa parte della mia generazione. Quando c’è stato il lockdown ero in un paesino di campagna, un giorno mi sono ripreso con il telefonino con questa canzone e ho postato il video su facebook. Ho avuto tantissime visualizzazioni, è stato incredibile, ho continuato a ricevere messaggi di persone che non conoscevo e che avevano apprezzato. Da lì è nata la canzone, che non è mai stata eseguita dal vivo. Al momento del video, ripreso in sala di incisione, ho chiesto ai musicisti di suonarla veramente: erano contentissimi perché era da mesi che non suonavano.
Ha mai pensato di registrare un podcast, dato che ha lavorato molto in radio?
Mi piacerebbe, vorrei raccontare storie che mi riguardano e riguardano il mondo che conosco, come la discografia. Il podcast è interessante, un mondo nuovo. Durante la mia esperienza radiofonica in Svizzera ho vinto il Prix Suisse nel 2004, l’oscar della radiofonia, con la storia di Jules Bonnot, ma in Italia non lo sa nessuno. In radio erano tutti contenti perché gli italiani del Canton Ticino non vincevano da un sacco di anni.
È laureato in ingegneria chimica, ma ha poi indirizzato la sua strada verso lo studio del mimo e del teatro ed è diventato un cantautore, come ha conciliato gli studi scientifici con l’ambito artistico?
La scienza mi appassiona molto, mi è sempre piaciuta, la chimica e la tecnologia in genere mi hanno sempre affascinato. Quando ancora non facevo il cantautore ho lavorato per un periodo alla Mondadori come redattore scientifico. Ho sempre fatto due o tre cose insieme, non mi sono reso conto di aver finito ingegneria e di aver fatto il cantautore, sono due ambiti che sono vissuti in parallelo. La cosa che mi ha lasciato lo studio dell’ingegneria è la costruzione degli spettacoli, per cui quando scrivo uno spettacolo sono un tecnico che si mette a fare tutti gli schemi. Poi magari improvviso, ma studio tutti i passaggi, deve esserci della logica in qualche modo. È una cosa molto poco creativa, ma la creatività viene fuori in altri momenti. Anche Stefano Belisari, in arte Elio, è un ingegnere, ci siamo conosciuti allo Zelig, che ho frequentato dalla metà degli anni Ottanta alla metà degli anni Novanta, lui stava scrivendo la tesi e ci prendevamo in giro. Un altro bravissimo ingegnere, di tipo informatico, si chiama Roberto Mercadini, un attore narratore romagnolo, con cui ho fatto uno spettacolo bellissimo su un altro ingegnere, Boris Vian. Era lo spettacolo che avremmo dovuto portare in scena a marzo 2020.
Roberta Usardi
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