OTELLO: L’INGANNO E LA FOLLIA al Teatro della Pergola di Firenze
La geniale scenografia di Carlo Sala, formata da grandi teli di plastica mossi con sapienza fino a formare facciate di palazzi, volte, pareti o tempestose onde marine accoglie il pubblico nella messa in scena dell’Otello con la regia di Elio De Capitani ed Elisa Ferlazzo Natoli, al Teatro della Pergola di Firenze dove sarà in scena fino all’8 aprile.
Otello è senza dubbio, tra le opere di Shakespeare, la più popolare, insidiosa e difficile da affrontare, con le sue vicende umane, fatte di intrighi, debolezze e amore narrate in maniera eccellente sia nel testo originale sia nella bellissima traduzione di Ferdinando Bruni. Questi, consapevole della bellezza dell’endecasillabo risulta così attento e misurato nell’alternanza tra lingua alta e bassa tanto da fonderli nella fluidità della lingua parlata, riesce a rendere ancora più attuale il dramma facendo in modo che gli accadimenti ambientati in un passato oramai remoto si possano rispecchiare in questo presente contraddittorio, xenofobo, sessuofobo e ipocrita sui quali le attuali compagini societarie costruiscono e rinsaldano i propri parametri.
Tre giorni, tre giorni soltanto sono sufficienti per distruggere un valoroso condottiero portato in palmo di mano dalla Serenissima Repubblica di Venezia, ma guardato con invidia e con sospetto non solo per le sue vittoriose imprese contro i Turchi culminati nella conquista di Cipro, ma anche per quel “matrimonio misto” con la nobile, cristiana e bellissima veneziana. Al di là del suo valore, Otello è pur sempre uno straniero,un diverso definito quasi con disprezzo in un lessico lontano dal “political correct”, quindi “ il negro”, “il labbrone”.
Desdemona, che in greco significa “sfortunata” porta nel suo nome il suo destino, richiama i tanti fatti di cronaca che vedono vittime le donne della gelosia degli uomini dove la incontrollata irrazionalità per la paura di un tradimento crea quei demoni insostenibili peggiori della certezza. Alla furia irrazionale di Otello si contrappone la fredda strategia calcolatrice di Jago, vittima alla fine dei suoi stessi e quasi matematici calcoli. Nell’alternanza tra il simile e il dissimile, la paura del diverso, il timore di un futuro “dove tutti saremo comandati da negri”, si intreccia la tragedia della gelosia e del sesso, del dubbio e della smisurata potenza manipolatoria delle parole. Per tutto servono le parole, servono ad Otello quando le mette in fila per raccontare le sue imprese, quando le fa diventare racconto che incantano e fa innamorare Desdemona ma servono anche a Jago per costruire la sua rete di inganni, parole che si intrecciano sull’ordito dei sentimenti seminando prima il dubbio e poi la rabbia e la follia.
È un Otello, quello che vediamo in scena, triste e malinconico, quasi un Kurtz di Apocalypse Now reso umano nell’amore e nel dolore da Elio De Capitani, alla cui bravura si unisce quella di Federico Vanni – uno Jago poco demoniaco, ma dalla malvagia strategia – Angelo Di Genio (Cassio), Cristina Crippa (Emilia) Alessandro Averone, Gabriele Calindri, Carolina Cametti, Michele Costabile, Massimo Somigliano e l’ottima e convincente Emilia Scarpati Fanetti (Desdemona).
Incanta la dicotomia di chiari e scuri, luci ed ombre dal taglio quasi cinematografico. I costumi ci lasciano un po’ perplessi forse perché nel desiderio di “vestire” un dramma senza tempo hanno involontariamente vestito un tempo che a loro non appartiene.
Francesco De Masi
Foto Luca Del Pia