“Ostaggi d’Italia. Tre viaggi obbligati nella storia” a cura di Dario Borso
“Ostaggi d’Italia. Tre viaggi obbligati nella storia” (Exòrma, 2021, pp. 225, euro 15.50) racchiude tre autobiografie di soldati semplici della provincia veneta. Soldati che diventano non solo dei prigionieri, ma dei veri e propri ostaggi su cui cade l’incuria e il disinteresse del Paese stesso. Tre soldati che si sono trovati a tu per tu con la Storia in tre momenti culminanti dell’Italia Unita: Adua, Caporetto, Otto Settembre. Tre testimonianze preziose grazie all’attenzione e agli studi di Dario Borso che, dopo il romanziere trevigiano Giovanni Comisso, il quale“agli snodi del secolo breve fu sempre fedele e partecipe”, fa nuovamente parlare queste voci. Ed è lo stesso Comisso a diventare, in questo nuovo volume, il filo conduttore tra le tre storie.
Il primo è il prigioniero di Adua, l’alpino bellunese, che scrive le memorie della sua prigionia che avvenne in Etiopia:
“Il primo marzo 1895 nella sanguinosa battaglia di Adua fui fatto prigioniero. Una pallottola nemica mi aveva ferito alla testa ed avevo tutto il viso e gli abiti rossi di sangue.”
Nel suo diario racconta i digiuni e le sofferenze della prigionia, fino al cammino verso Addis-Abeba, un viaggio che durò tre mesi. E poi la fuga, con la speranza del rimpatrio.
È di 25 anni dopo il diario disperato del granatiere di Caporetto Giuseppe Giuriati di Treviso, in quelle “teribile e tristi tere maledette”, in cui tenne un diario della sua chiamata alle armi dal 1917 al 1919, grazi alla sua minima formazione scolastica, lasciando un’importante testimonianza storica soprattutto per il racconto sulla rotta di Caporetto.
“…per la strada si vedeva carri rovesciati automobili e camion e tutto il careggio fermo e i cannoni slogiati dietro le rive insumma la strada era impedita adio Italia.”
Poi la cattura, la prigionia la fame e i maltrattamenti, fino all’armistizio: “il mio cuore si ha comosso e mi mise a piangere dal’allegria e tutto ad un tratto si sente tutta quella gente che era nel campo che gridava dall’allegria tutti asieme erimo Italiani, Francesi, Inglesi, Russi, Americani, Rumeni, portoghesi, Belgi, Arabi ecc. infine di tutte le razze che era forma d’uomo e tutti assieme si gridava eviva, la guera è finita speriamo presto liberarse da queste teribile e tristi tere maledette Adio ciao”. Sono sentimenti forti e travolgenti, a osannare vita e libertà.
Infine, il marinaio trevisano Luigi Figallo, internato in più lager tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Donnaiolo al punto da non nascondere la tristezza “di lasciare quella casa, quelle donne e quella terra che forse non avrei più visto nella mia vita”. Fino al ritorno verso la donna per eccellenza, la madre:
“Mi portarono fuori dal carro e mi buttarono tra le braccia di mia madre che mi stringeva alle spalle e alla testa, tutta in lagrime, domandandomi se ero suo figlio, tanto stentava a riconoscermi e tanto era convinta ch’io fossi morto…”
Marianna Zito