“Orgoglio e pregiudizio”: una rilettura tra comico e vero, visibile e nascosto
Un grande classico della letteratura inglese e internazionale ha solcato il palcoscenico del Teatro Carignano di Torino dal 16 al 21 novembre: “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen, con la regia (e la recitazione) del napoletano due volte Premio Ubu Arturo Cirillo. Porta in scena un classico cui viene tolta la veste linguistica “ingessata” dell’Ottocento (adattamento teatrale a cura di Antonio Piccolo) e che viene attualizzato e alleggerito rispetto al romanzo originale, che poteva risultare anacronistico; ricordiamoci che stiamo pur sempre parlando di un testo che ha fatto la storia della narrativa neoclassica.
Molto attuale dunque, ma fino a un certo punto: se da un lato il pubblico partecipa alle storie d’amore che abitano il palcoscenico grazie alla rinnovata veste linguistica, dall’altro lato la scelta di mantenere i costumi ottocenteschi (bellissimi, di Gianluca Falaschi, premio Ubu 2019 proprio per questo lavoro) spiazza la platea. Uno scacco che rimane anche nella scelta della scenografia (di Dario Gessati) scarna e mutevole, composta da pochi oggetti in scena che si alternano continuamente, focalizzando l’attenzione sulle quattro grandi pareti a specchio, elementi cardini della scenografia. L’interessante gioco di luci (a cura di Camilla Piccioni), che a tratti trasformava gli specchi in vetri trasparenti, ricreava l’atmosfera dei salotti borghesi ottocenteschi, abitati da una società trasparente ma costantemente presente e fatta di chiacchiere, dove anche i muri hanno le orecchie. Gli attori vengono moltiplicati, così come gli spazi. Anche l’accompagnamento musicale delle scene, a cura di Francesco de Melis, ricorda le consuetudini di quegli ambienti, dove ci si sposa con una “conversazione” e si canta per sedurre: anche gli attori non mancano di cantare.
Le scelte registiche appaiono forti nella definizione dei personaggi. L’approccio comico e sdrammatizzante, che esalta e valorizza quegli elementi nel testo, porta alla caratterizzazione stereotipata di alcuni ruoli in scena, come la mamma delle sorelle Bennet (Sabrina Scuccimarra) o il duplice ruolo rivestito da Cirillo (di Lord Bennet e della zia di Lord Darcy) o ancora il Reverendo Collins (Rosario Giglio) e sua moglie/Caroline Bingley (Giulia Trippetta). Altri personaggi invece, come quello di Elizabeth (Valentina Picello) o di Lord Darcy (Francesco Petruzzelli), risultano più sinceri, meno costruiti come “macchiette” e attorialmente molto complicati. A metà strada invece troviamo Jane (Eleonora Pace) e Lord Bingley (Giacomo Vigentini): due figure in secondo piano, che portano sul palco la storia d’amore per eccellenza, a metà tra sogno plastico e realtà. Rischiosa, azzardata, ma ben riuscita la scelta di Cirillo di indossare i panni di Lady Catherine de Bourgh. Il personaggio diventa quasi grottesco e scatena l’ilarità del pubblico. Merito certamente delle grandi doti di Cirillo nell’interpretare il ruolo in maniera così determinante e che non avrebbe conseguito il medesimo risultato nei panni di qualcun altro.
La rilettura fatta da regista del classico per eccellenza ha sicuramente suscitato successo tra il pubblico, che ha potuto assistere a uno spettacolo a metà tra il comico e il vero, mescolato tra passato e presente, tra visibile e nascosto. Probabilmente la decisione di non operare una rilettura contenutistica del testo (che si riscontra solo nella scelta di semplificazione del numero delle sorelle Bennet) è l’interrogativo che rimane andando via dalla sala, tra gli applausi fragorosi del pubblico.
Giulia Basso