“On our own” è il nuovo singolo di Damien McFly – L’intervista
Dal 29 giugno è in radio e in tutti gli stores digitali “On our own”, il nuovo singolo di Damien McFly, cantautore padovano dalla voce graffiante e dalla carriera che vanta riconoscimenti di rilievo, come, nel 2018, il Grand Prize nella categoria folk del John Lennon Songwriting Contest con il brano “Mesmerized”. “On our own” è il terzo singolo dopo “”My cure” e “Vega” ad anticipare il nuovo album. Abbiamo fatto qualche domanda a Damien per conoscere meglio la sua musica.
Prima di tutto, come nasce la tua vocazione musicale?
Nasce in modo molto naturale, fin da bambino ho sempre suonato uno strumento da autodidatta, imparando quello che potevo da mio fratello maggiore. Con gli anni è venuto naturale iniziare a scrivere canzoni ed esibirmi in pubblico. È come se non fosse mai stata una cosa che ho scelto, ma sentendo sempre la necessità di vivere assieme alla musica non ho fatto altro che impegnarmi sempre di più e dedicarle sempre più tempo.
“On our own” è un incitamento a non arrendersi mai, confidando nelle proprie capacità, canti “we’ll make it on our own, we’ll find a way to break the storm”, come ti è venuta l’idea per questa canzone?
Avevo iniziato questo pezzo poco prima del lockdown scrivendo “I’ll make it on my own”. Durante quel periodo ho iniziato a sentire sempre di più la sensazione che nel mondo, piano piano, stava nascendo una coscienza collettiva, ed io per primo me ne sono sentito parte. Da qui il cambio dal singolare al plurale, mentre tutto il resto del testo parla del caos dell’informazione di quel periodo, oltre al fatto molto importante che per rialzarci tutti dobbiamo unire le forze e creare le nostre occasioni per crescere, senza aspettare che piova l’aiuto di qualcuno.
Canti e incidi dischi in inglese, sei stato in tour in Europa, UK, USA e Canada con il tuo primo album e hai ricevuto riconoscimenti importanti, che tipo di esperienze sono state e che impatto hanno avuto sulla tua crescita musicale?
La musica mi ha dato la possibilità di viaggiare sempre di più e con ogni tour mi sono arricchito interiormente sempre di più. I riconoscimenti sono stati una grandissima conferma e un forte stimolo a continuare su questa strada. La cosa davvero bella con cui mi sono scontrato in questi anni è stata la diversità e la ricchezza culturale che ho trovato fuori dall’Italia e che ho sempre cercato di assorbire il più possibile per avere sempre più storie da raccontare, sempre più suoni nuovi e colori da inserire nella mia musica.
Ci puoi anticipare qualcosa sul tuo prossimo album in uscita a fine anno?
La cosa fondamentale di questo nuovo lavoro è il fatto di far entrare l’ascoltatore in un percorso, di sentire tutta la mia evoluzione musicale degli ultimi anni, sia come songwriting che come produzione. Se nel primo album ho cercato di limitarmi a livello di strumenti e suoni, questo sarà l’opposto, mi sono un po’ stancato di dover entrare in un’etichetta a livello di genere, credo che ciò che conta sia sempre la “canzone” non il vestito che porta.
Il tuo primo album “Parallel Mirrors” è uscito cinque anni fa, come lo racconteresti ora, che hai cinque anni in più?
Chiaramente ora vivo le canzoni in maniera diversa ma mi piace molto il fatto che riascoltandolo riesco a respirare di nuovo le stesse emozioni che ho vissuto in quel periodo. L’album è stato interamente autoprodotto, registrato e mixato da me, quindi ci sono davvero molto legato ed è stato bello vedere come piano piano la mia musica abbia iniziato a varcare i confini nazionali proprio dopo quella pubblicazione. Dovendone riparlare adesso direi che i brani di “Parallel Mirrors” sono molto sinceri e pieni di riflessioni e speranze di un ragazzo che sperava di riuscire a girare il mondo con la sua musica e nel suo piccolo c’è riuscito.
Qual è il tuo rapporto con l’Italia? Hai mai scritto canzoni in italiano?
Ho iniziato a scrivere in Italiano quand’ero più piccolo, dai 14 ai 18 anni circa. Principalmente brani super romantici e molto pop, ma già all’epoca preferivo cantare brani in inglese, ma non ero abbastanza bravo a scriverli. Dopo un po’ di viaggi ho iniziato a prendere molta più confidenza e i primi testi sono usciti naturalmente. Ora ogni tanto qualcosa in italiano scrivo ma preferisco collaborare con altri artisti che hanno più esperienza nell’ambito.
Quali sono state le tue influenze musicali che ti hanno portato a creare il tuo stile musicale?
Ho iniziato a chiamare la musica che facevo indie folk dopo essermi appassionato molto ai Mumford and Sons e al loro primissimo album. Da lì ho seguito molto tutti i cantautori inglesi come Ben Howard e Laura Marling nonostante il mio vero background sia il rock. Sono cresciuto con i Queen, i Muse, ma anche Johnny Cash e Bob Dylan. Ora mi piacciono molto artisti come Bon Iver, SYML che hanno saputo trasformare il cantautorato indie folk in qualcosa che sta a metà tra il pop e la musica elettronica.
Quale sogno ti piacerebbe realizzare nei prossimi 5 anni?
Il mio vero sogno è quello di riuscire a creare una fan base solida che mi permetta di attrarre centinaia se non migliaia di persone in diverse città del mondo. Un’altra cosa che sogno da tanti anni è quella di suonare al Glastonbury Festival in Inghilterra, che tra Brexit e altre situazioni sta diventando sempre più irrealizzabile ma non bisogna mai smettere di crederci.
Roberta Usardi
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