Oltre le cose: il genius loci
Esiste qualcosa oltre le cose? Uno spirito soffia su di noi? Riusciamo ancora a vedere oltre il nostro naso? I latini lo avrebbero chiamato genius loci, il genio del luogo; noi moderni abbiamo difficoltà a definirlo.
L’autore e il diario di viaggio
Stefano Cascavilla nel suo ultimo romanzo “Il dio degli incroci. Nessun luogo è senza genio” (Edizioni Exorma, 2021, pp 283, euro 16) ci rende partecipi di un viaggio spaziale e temporale alla ricerca di un senso più profondo delle cose, di una entità più grande o, se vogliamo, di un’anima del mondo. L’essere umano si è sempre interrogato sulla natura delle cose, Lucrezio scrisse il De rerum natura ereditando il pensiero epicureo, Platone fece lo stesso nel suo Timeo. La tendenza a comprendere il mondo e i suoi meccanismi è insita nell’uomo stesso. La necessità di trovare un senso spinge l’uomo in una ricerca che brama risposte. In questo percorso di ricerca ritroviamo solo una costante: nella storia l’uomo ritorna ciclicamente al genius loci, al genio del luogo, all’anima che vi è nelle cose, in ogni singola pietra, in ogni dove.
La cecità dei moderni
Cosa è cambiato nel corso della storia? Semplicemente tutto. La cognizione del tempo è scandita oggi dai ritmi frenetici di una giornata lavorativa, viviamo in uno spazio pieno di rumori, i suoni non esistono più; il nostro sentire è completamente ricoperto, asfaltato dalla civilizzazione.
Dov’è il genius loci, se ne esiste ancora uno?
I popoli che vivono il tempo in simbiosi con il battito delle stagioni, quei popoli che non sono scottati dalle luci artificiali, questi popoli riescono ancora a sentire quell’entità, definibile con nomi diversi, che ha sempre lo stesso ruolo: rendere l’uomo parte di un’armonia più ampia. Lo scrittore ci riporta in varie zone d’Italia e del mondo, riscoprendo ciò che l’uomo forse ha dimenticato: il piacere per il silenzio, per l’osservazione, per la ricerca.
Il respiro del mondo
Possiamo dire, forse, che esiste ancora qualcosa di vivo sotto i nostri piedi, sotto i grattaceli, nelle fabbriche, nei paesi abbandonati, anche se non siamo in grado di riconoscerlo.
“Ciò che è davvero significativo è la persistenza di questa intuizione, il suo ritorno ciclico, a dispetto dell’ascesa inarrestabile della coscienza moderna. Indizi inequivocabili di un contenuto archetipico, non di un’occasionale alzata di ingegno filosofica. È lecito pensare che siamo al cospetto di un principio fondante della realtà, un carattere atemporale di cui l’inconscio collettivo è informato e a fronte del quale lo sviluppo della coscienza non ha alcuna influenza”.
Massimiliano Pietroforte