Nuntio vobis gaudium magnum: habemus theatrum! Torino decolla dal Carignano, Binasco in regia
“Lei mi invita…sì, dico doppiamente a nozze. Sposerò per finta una donna: ma sul serio, io sposo l’onestà.”
Quindi è sicuro? Sì! Sì, sì, ti dico di sì! Ma davvero? Lo so, non riesco a crederci neanche io, ma pare proprio di sì… e dici che riusciamo a trovare i biglietti? Se ci sbrighiamo li prendiamo. Cosa danno? Pirandello. Guarda, mi andrebbe bene anche uno spettacolo coi burattini. Sì, in effetti…
Lunedì 26 aprile, ore 19, Torino, piazza Carignano: una piccola, contingentata folla si è riunita dinnanzi al teatro, nella luce soffusa che precede il crepuscolo. È un momento nitido, fresco; ha appena smesso di piovere, anche se più tardi riprenderà: le madame si sono procurate degli ombrellini abbinati alle clutch e ai tacchi quadrati di vernice. C’è il direttore, il presidente, le maschere, l’ufficio stampa, i giornalisti di Repubblica col taccuino e i cameramen al seguito. Controllo temperatura, botteghino, buonasera, bentornato, buon lavoro. Posso aiutarla a trovare il posto? Ma certo! Ecco, le ricordo solo di indossare la mascherina per l’intera durata dello spettacolo. Certo, certo.
Con questo graduale ritorno ad una pseudonormalità culturale, il Teatro Stabile ha scelto di ripartire subito, indi si è optato per Pirandello, come si è scritto poc’anzi. Il testo, tuttavia, non è tra i più noti, e questo è bene, anche se poi il messaggio è il solito: la logica delle maschere, i ruoli imposti dalla società e la recitazione come atto di sopravvivenza. Trattasi de Il piacere dell’onestà: commedia in tre atti, composta tra l’aprile e il maggio del 1917 e presentata il 27 novembre dello stesso anno sempre al Teatro Carignano (con Ruggero Ruggeri e Vera Vergani); per giunta qui diretta da Valerio Binasco, che interpreta magistralmente anche il protagonista Angelo Baldovino. Sul palco con lui: Giordana Faggiano (Agata Renni), Rosario Lisma (il Marchese Fabio Colli), Lorenzo Frediani (Maurizio Setti), Franco Ravera (il parroco), e, inoltre, una spettacolare Orietta Notari nei panni della Signora Maddalena, madre di Agata e suocera di Angelo, talmente risolta a livello drammaturgico da risultare oltremodo impeccabile, con quell’allure tutta mediterranea della genitrice compunta, timorata di Dio, indefessa, che ricorda quasi certe donne del cinema (che so, la madre di Monica Vitti ne La ragazza con la pistola), le quali tengono più all’onore che al buonsenso, e ci assecondano solo se i dogmi cattolici lo consentono. Il cast riesce insomma perfettamente nell’intento registico di incarnare quegli archetipi tanto cari al teatro: l’onesto, il disonesto, la giovane ingenua e fragile, la madre borghese e quindi apprensiva, il sacerdote pressoché congruente al peggiore dei Don Abbondio, e così via. La trama viene pertanto snocciolata con un ritmo incalzante, mai banale, quasi da pellicola. I dialoghi pungono come se gli attori tirassero di fioretto, come se duellassero, sì, ma immersi nella filosofia del relativismo psicologico più abissale. Leggendo il programma di sala, si scoprono gli obiettivi che la regia s’era imposta, e ultimato lo studio del caso anche a posteriori, si comprende facilmente che il successo è stato indubitabilmente raggiunto: Un testo spietato […] la prima figura di antieroe del drammaturgo siciliano, un perdente, un relitto ma soprattutto un uomo solo […]. Il protagonista accetta la parte, ma fin da subito diventa ingombrante: in lui resiste una morale capace di opporsi a un concetto di onestà solo di facciata […]. …una borghesia preda del sentimento e del perbenismo […]. Combaciano del tutto, per di più, le rotanti scene stupefacenti di Nicolas Bovey e i deliziosi costumi di Gianluca Falaschi: due corone che assicurano una resa ancora più maestosa. Verrebbe da pensare, infine, che in sostanza s’è trattato d’un’occasione priva di difetto alcuno, e non senza uno scusabile margine di dubbio (per Binasco è la prima volta con Pirandello) ci riserviamo la possibilità di credere che comunque bisogna sempre puntare più in alto, perché il meglio non è necessariamente nemico del bene. Ciononostante, sia chiaro, è stato davvero entusiasmante poter tornare nel proprio habitat, chiudere il cerchio, lambire il sentore di una speranza per il futuro, e dunque abbracciare uno spettacolo che si è rivelato oggettivamente piacevole, illuminante, istruttivo. Le repliche andranno avanti sino al 9 maggio: regaliamoci un’emozione troppo a lungo procrastinata, sfamiamo quel vuoto dovuto al digiuno d’arte che ormai procede a intermittenze da più di un anno. Compriamo i biglietti; portiamo gli amici, il fidanzato, la nonna, l’amante, il dirimpettaio, la badante, il collega: torniamo a teatro.
Davide Maria Azzarello