“NON SVEGLIATEMI…DOMATTINA…” AL PICCOLO TEATRO STUDIO MELATO, “LA SIGNORINA ELSE” SECONDO FEDERICO TIEZZI
Torna ad Arthur Schnitzler, e torna al Piccolo Teatro di Milano Federico Tiezzi, abitando il Teatro Studio Melato con la sua visione scenica de “La signorina Else”. Lo spettacolo, tratto dal celebre e densissimo racconto dell’autore viennese, con la drammaturgia dello stesso Tiezzi con Sandro Lombardi e Fabrizio Sinisi, è nato ed ha debuttato nel maggio 2017 in un luogo singolare come il Teatro Anatomico dello Spedale del Ceppo a Pistoia. Il regista ha evidentemente plasmato la messa in scena dialogando con esso ed assorbendo nella propria estetica ogni influsso che quel settecentesco scrigno in cui convivevano arte neoclassica e scienza medica portava con sé.
I banchi tra cui si affollavano gli studenti di medicina fino alla metà dell’800 sono diventati platea, e il bancone marmoreo per la pratica chirurgica il fulcro della scena. Come Schnitzler disseziona l’anatomia dei pensieri di Else per mezzo del monologo interiore, così in teatro Tiezzi opera allo stesso modo. Ma il corpo della Signorina in scena è ancora pulsante di vitalità. L’idea del teatro anatomico vive con lo spettacolo anche quando la scenografia – di Gregorio Zurla – si adatta a luoghi più tradizionali, ma al Piccolo Teatro ne ritrova anche, felicemente, la forma scenica circolare, con il pubblico ad abbracciare, o meglio osservare con occhio che si fa suo malgrado scientifico, la protagonista. La signorina Else, diciannovenne, è in vacanza a San Martino di Castrozza, “parente povera invitata dalla zia ricca”. La sua è una famiglia aggrappata alle apparenze, parte di quella società borghese di cui Schnitzler mostra spietatamente l’inesorabile decadimento, la triste ipocrisia. La villeggiatura – fatta di svaghi, sport, prime pulsioni erotiche – è turbata da un telegramma della madre: il padre si trova, come già in passato, a rischio di arresto e bancarotta, a meno che non riesca a restituire una ingente somma di denaro indebitamente sottratta. La glaciale richiesta della donna alla ragazza è quella di chiedere i soldi in prestito al signor Von Dorsday, conoscente invaghito di lei, e per caso residente nello stesso albergo in quel momento. L’uomo accetta, ma desidera una cosa soltanto in cambio: poter contemplare Else nuda, per un quarto d’ora. La proposta scatena il conflitto interiore. Else si scaglia contro la madre, il suo orgoglio le impedisce di compromettere così la propria persona, pur con lo scopo di salvare un padre criticato duramente, ma che in fondo le è impossibile non amare; la chiusura di ogni via di fuga infine la porta ad assumere una massiccia dose di sonniferi che la porta a cadere nel delirio finale. Di fronte ad un patto che ha echi shakespeariani, carne in cambio di denaro (la mente corre all’ebreo Shylock), una sola risoluzione le sembra possibile: “Il contratto non specifica che io debba essere viva. Solo nuda!”. Allora tutti mi vedranno nuda.
Quasi in trappola in un luogo psichico che è obitorio e camera dei giochi d’infanzia, prato/mondo esterno e specchio che riflette il “sommerso” (l’attività mentale, l’inconscio) e riverbera ogni luce ed ogni movimento, la Signorina Else interpretata da Lucrezia Guidone ha la caratteristica peculiare e magnetica di essere costantemente in tensione tra poli opposti: non più bambina, non ancora donna, non naturalistica, non completamente astratta, sospesa nello stato semi-conscio (come diceva l’autore stesso) di sonno e di volo, di sogno e di morte. È altera e fragile, vitale, affascinante eppure sola, ma mai vittima; ribelle fino alla fine, pur nella bolla di un incubo. Mai fuori fuoco, un lavoro attoriale di rara complessità. Altrettanto curata e profonda è l’adesione di Martino D’Amico al personaggio di Von Dorsday. L’attore trova dei movimenti interiori ed interpretativi con cui tracciare un’umanità grazie alla quale non limitarsi in una figura di spregevole antagonista. L’estrema calma ed eleganza nel parlare, la pacatezza dei modi, contrasta terribilmente con la richiesta, e con il tono di voce in cui improvvisamente si concretizza il desiderio, così come, con forte effetto scenico, egli ha ora volto di uomo, ora testa di coccodrillo. Siamo di fronte ad un ricatto, eppure anche alla preghiera di un uomo solo, probabilmente molto debole ed infelice. Quando non è chiamato in causa, Von Dorsday siede in disparte e prende appunti su un taccuino ascoltando Else. È la psicanalisi in scena, come lo era nel 1924, data di pubblicazione del racconto. Non a caso Tiezzi, subito dopo questo spettacolo, ha messo splendidamente in scena “Freud o l’interpretazione dei sogni” di Stefano Massini. Il flusso di coscienza di Else sembra anticipare quella galleria di personaggi a venire.
I movimenti sono calibrati come una danza sulle note della musica dal vivo in scena (Dagmar Bathmann al violoncello, Omar Cecchi al pianoforte e percussioni, Dusan Mamula ai clarinetti), la musica tanto amata dalla signorina Else, che la accompagna fino in fondo, in un crescendo di potenza visiva ed emotiva, mentre il sonnifero ottiene, inarrestabile, il suo effetto, nell’apparente indifferenza cinica del mondo.
“Non svegliatemi…domattina…”
Mariangela Berardi