Ninni Bruschetta in scena con “Il mio nome è Caino” al Teatro Menotti di Milano
“una calibro 38 è fatta solo per uccidere”
Così inizia lo spettacolo “Il mio nome è Caino” di Claudio Fava, in scena al Teatro Menotti di Milano dal 14 al 19 gennaio 2020 con la regia di Laura Giacobbe.
Per questa rappresentazione non c’è palco, l’atmosfera che serve è quella intima, con distanza minima tra artisti e pubblico; l’allestimento di Mariella Bellantone è semplice, un pianoforte a coda, sgabelli, microfoni, e pochissimi oggetti per un racconto denso e profondo. La voce è quella di Ninni Bruschetta, che racconta la vita e le regole di un mafioso di Palermo, figlio di mafiosi, chiamato Caino perché, come Caino, ha ucciso il suo migliore amico, senza motivo, quell’amico che era come un fratello per lui, e l’ha fatto perché così doveva essere, doveva mantenere fede alla sua stirpe, doveva proseguire sulla strada del padre e del nonno, perché la mafia passa di generazione in generazione, è un vero e proprio mestiere oltre a essere un destino. E per consacrarsi a questo suo destino, Caino fa uccidere Abele. “Mi hanno insegnato a non avere fretta: più lunga sarà l’attesa, più ruvida sarà la rabbia.” Tuttavia Caino, a differenza del padre e del nonno, che sono stati mandanti di svariati omicidi senza mai sporcarsi le mani (“che bisogno hai di ammazzare quando io ti insegno a comandare?)”, decide di uccidere, per dimostrare di essere migliore di loro e per dimostrare la sua forza. Non è un compito facile uccidere, ma ci riesce, fa parte della sua genetica, ce l’ha nel sangue, perché “uno nasce mafioso, non lo diventa.” E soprattutto, non sente alcun rimorso, né si sente colpevole di ciò che compie: “non sono un assassino, ho soltanto imparato ad amministrare la morte.” Uccidere, dal punto di vista di Caino, che ci tiene a diventare “il peggiore di tutti”, serve a eliminare il male “necessario” e non devono esserci intoppi, o ancora peggio esitazioni, perché nel momento in cui il dubbio o l’esitazione si facesse strada, allora sarebbe tutto finito, non ci sarebbe più scampo, il “gioco” sarebbe finito.
Il testo di Claudio Fava è potente: il racconto di Caino, grazie all’eccezionale bravura di Ninni Bruschetta, arriva spietato, terribile nella sua lucidità e distacco e tiene il pubblico attento, pienamente coinvolto. Ciò è permesso anche grazie alla musica dal vivo, con due brani editi e altri brani originali composti appositamente e suonati dal vivo al pianoforte da Cettina Donato, che permettono un’immersione più profonda da parte di chi guarda, con particolare enfasi nel momento in cui Ninni Bruschetta canta sulle note di “My Funny Valentine” (1937, Richard Rodgers – Lorenz Hart).
Uno spettacolo che merita di essere visto.
Roberta Usardi
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