“Nina la poliziotta dilettante” – Il giallo di Carolina Invernizio
Carolina Invernizio (1851-1916) è stata la scrittrice di feuilleton italiani più prolifica nella storia della narrativa italiana. Il feuilleton, in Italia conosciuto col termine di Romanzo d’appendice, era il genere letterario più diffuso nell’Ottocento, pubblicato a puntate in riviste e giornali dell’epoca. Trame complicate, intrighi e continui colpi di scena, chiusure a effetto attraverso l’uso del cliffhanger, cioè un brusco finale sospeso, in modo da spingere il lettore ad acquistare il prossimo numero della rivista per completare la storia. La critica letteraria e non solo ha scritto sulla funzione sociale di questo genere di massa – ricordiamo ad esempio Umberto Eco che proprio sulla Invernizio ha scritto delle utili pagine – di solito in termini negativi. Carolina Invernizio non è stata risparmiata dalle critiche. Ce ne ricorda qualcuna la scrittrice Alessia Gazzola, che introduce il volume “Nina la poliziotta dilettante” (2020, pp. 400, euro 14), pubblicato dall’ottima Rina Edizioni: Benedetto Croce definì l’appartenenza della Invernizio a “un infinito pulviscolo di instancabili romanzatrici”. Ma l’autrice era più attenta ai suoi lettori e alla loro fedeltà, oltre che alla sua funzione di intrattenitrice, rispondendo in modo geniale alle critiche: “Io ho dei critici un’allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli e le loro sorelle!”.
Ma veniamo a Nina, la poliziotta dilettante della Invernizio, protagonista di quello che è a tutti gli effetti un giallo intriso di “patetismo”, di sentimenti e psicologie affettate. Siamo nella Torino del 1909. Nina è una giovane operaia, orfana e vive da sola. È fidanzata al giovane conte Carlo Sveglia, ma questi – alla vigilia dell’ufficializzazione del loro fidanzamento presso la zia Eugenia – viene ammazzato, vittima di un agguato a opera di ignoti. La stessa Nina, il giorno successivo, sarà condotta in commissariato come sospettata, così come l’operaio spasimante della giovane, Martino Vigna, e incarcerata per un mese. Già dalle prime pagine, la rosa dei sospettati è ampia, così come ampio è il numero dei personaggi presentati, ognuno con una sua particolarità e funzione all’interno della storia. Nina, decisa a scoprire l’omicida dell’amato Carlo, finge la sua morte per poter ritornare nei panni maschili del cameriere Nanì, agli ordini della contessa Sveglia. All’interno della villa, verranno a far parte dell’intrigo numerosi altri personaggi, tra i quali una cameriera zoppa, un fratello odiato e creduto morto, approfittatori e altro ancora. La stessa Nina non vestirà solo i panni del cameriere Nanì, ma anche quelli di un’altra finta sorella, di professione masseuse (una massaggiatrice dei primi del secolo). Per Nina, scoprire l’omicida sarà come percorrere un labirinto di stanze che disvelano piani nascosti e camuffati da ipocrisia.
Scandali, segreti e ricongiungimenti: non manca nulla nel romanzo di Carolina Invernizio, progenitrice del giallo italiano e ideatrice di protagonisti femminili, certamente borghesi, ma con una fiamma di emancipazione nuova e al limite della ribellione per l’epoca. La scrittura della Invernizio, di certo non è ricercata, così come i continui capovolgimenti e colpi di scena o ancora i dialoghi risultano perlopiù grossolani (il già citato Umberto Eco affermava della Invernizio, pur stimandola, che “scriveva malissimo”); non manca nemmeno l’immancabile redenzione finale per molti dei “cattivi”. Eppure la lettura di Nina risulta gradevole e a suo modo appassionante, ingenua eppure incalzante.
Rina Edizioni continua la sua meritevole opera di ristampa delle “scrittrici dimenticate”, come recitano nel manifesto in appendice al volume: “riportando alla luce l’esperienza e il contributo di quelle donne dalla voce coraggiosa, che sono state estromesse dal canone letterario e obliate”.
Giovanni Canadè