Nicolò Carnesi in tour col suo nuovo disco
La giovane musica italiana, in questo periodo storico, sembra avere molto da offrire. Forse perché, paradossalmente, in una certa misura oggi è molto più semplice diventare un cantante rispetto a cinquant’anni fa. E quindi emerge tanta fisiologica paccottiglia, molto ciarpame improbabile, inascoltabile e irricevibile. Però questa democrazia della canzone, com’è logico, porta ad una modesta ribalta anche tanta gente che invece merita di essere ascoltata. E tra questi, c’è sicuramente Nicolò Carnesi.
Se googlate il suo nome, l’etere vi proporrà delle interviste su alcune riviste online, due recensioni su Rolling Stone, le date dei concerti del passato, poche foto, un articolo su Repubblica, le collaborazioni con Brunori Sas, poco altro. Se invece vi spostate su YouTube ad accogliervi troverete due canali, quattro dischi e qualche videoclip (riuscitissimi quelli di Borotalco e Spogliati firmati dalla Porto Records). Sui social, pochissimi post: un po’ di promozione su Facebook, le foto con Fabi, Brunori e Battiato su Instagram. Un personaggio un po’ defilato, vagamente schivo. È nato a Palermo, nel 1987, ed è venuto a galla sette anni fa, con Gli eroi non nascono il sabato. Nel 2014, poi, è arrivato Ho una galassia nell’armadio. Due anni dopo, Bellissima noia. L’11 ottobre scorso, infine, è nato il quarto disco: Ho bisogno di dirti domani. E quindi ora Nicolò è in tour per farci conoscere la sua ultima creatura: Bologna, Milano, Pisa, Roma, Rende (Cosenza), Taranto, Palermo, Messina. Tutto però è partito il 9 novembre, con il primo concerto allo Spazio211 di Torino. È salito sul palco con una buona mezzora di ritardo, e ha sbalordito tutti. È uno che sa stare davanti ad un pubblico, Nicolò, non come una popstar certo, ma più come un giovane professore che vuole appassionare i suoi studenti, o come un avvocato sinceramente convinto della sua arringa. Equilibrato, composto, assolutamente non sfrenato. Canta i successi del passato, ma anche e soprattutto quelli nati a ottobre: Il futuro, col quale in qualche modo riesuma i modi di Battiato per raccontare la sua contingenza che poi è anche la nostra; Borotalco, geniale inno malinconico delle vite convulse; Carta da parati, l’encomio educato di tutti i wallflowers.
C’è qualcosa di coinvolgente nelle canzoni di Carnesi, qualcosa che punge i timpani con delicatezza, come lo zirlo di un tordo o la voce di un analista. Sono versi che fagocitano e poi consolano. E per riuscire in questo, che sia un intento o meno, Carnesi attinge senz’ombra di dubbio al cantautorato del passato prossimo e di quello più remoto. A volte sembra quasi di sentire anche qualche eco dei poeti del disincanto di fine Ottocento e inizio Novecento: mutatis mutandis, le verità di Carnesi non sono poi tanto diverse da Baudelaire o Gozzano, per esempio. Paragone audaci? Forse, ma poco importa, perché un giovane di questo secolo ha bisogno di leggere Spleen come ha bisogno di qualcuno che scriva Che a settembre si sa / Le cose non girano / Mi sento sempre strano / Tutt’uno col divano / Sto cominciando una serie / Anche se non mi va. O ancora: Fammi strada sulle vie parallele / Sulle lontane frontiere della libertà / Per trovare la forza / Di alzarmi dal letto quando non ho voglia / Quando tutto mi sembra / Solo volgarità.
Se potete, trovate il tempo di ascoltarlo, perché ha delle cose da dirvi.
Davide Maria Azzarello