Nicoletta Cabassi danza in streaming: In divenire al Café Müller
Un grande ramo, una debole foschia, un palco vuoto ma poi ricolmo dei movimenti di un corpo pieno di anima e di società. Caschetto tipo Wintour o Aspesi, ma corvino e disordinato, come Mafalda. Poi un vestiario tutto tanztheater, spesa alla spina e seminari di psicologia. Occhi lontani fra di loro, e in mezzo tantissima ponderazione, una gran dedizione, un infinito ripensare e soppesare ciò che fino a poco fa sembrava certo. Segmenti di eleganza, padronanza del gesto, continenza di discorso: Nicoletta Cabassi presenta l’atto conclusivo e sublimante di una performance nata dieci anni fa dalla collaborazione con Ezio Bosso. Una danza lenta, macilenta, aculeata ma anche sinuosa. Titolo: In divenire. La rassegna è quella, ormai consolidata, del Café Müller di Torino, che continua a proporsi al pubblico attraverso il funzionale streaming di Solo in teatro, online su Nice Platform.
Una fatica creativa, spiega Cabassi con l’intervista che precede lo spettacolo. Effettivamente, in questo momento, in questi mesi, dev’essere difficile creare, e ancor di più diffondere quanto si crea. Un privilegio, continua Cabassi, poter calcare un palco in un periodo in cui a pochissimi è concesso di lavorare in teatro. L’umiltà è pur sempre una virtù, d’altronde, ed è bello intravederla, talvolta; un’austera umiltà che non scade comunque nella modestia: Cabassi trasuda impegno, diligente fervore. C’è tutt’una struttura di solerzia – dietro ogni gesto, dentro i tremolii – adiacente al teatro e alla danza.
E la danzatrice gira su sé stessa e attorno a sé, aggrappata ad un cavo per le spalle. Come un’acrobata, come una scalatrice. Nera, vantablack, stella collassata, corvina come quell’onda di capelli tipica di Bosso, la cui musica sostituisce qualunque apparato scenografico, ampliando anzi così il concetto stesso di scenografia oltre i confini della concretezza. Simpatica, triste, maliarda, luttuosa, solipsistica in un coro di suggestioni plurime, assonanti. Drammatica, volubile, incerta, contemporanea, affascinante, rassicurante, rincuorante, rilassante. Come una donna dispersa a metà della spesa in un supermercato sui tacchi a stiletto, come una madre non più giovane ma non ancora vecchia che ritrova sé stessa dopo la maturità dei figli, come un’amante avvilita poiché tradita da un maschio mediocre che però aveva scelto lei… Cabassi danza nelle ginocchia, danza con gli occhi, con i talloni, con i denti, con le rughe delle guance. Poi il secondo atto: il focus si sposta su quel ramo spoglio, che addirittura balla da solo, mentre un braccio lo pilota nel buio. Due bicchieri di glitter rovesciati sul pavimento, mentre quel ramo diventa una colonna vertebrale, un esoscheletro, una corazza. I costumi rimangono neri, fermi, abissali: l’orlo della gonna scende ancora dal ginocchio fino al tallone. Qualche paillette in testa a coprire i capelli. Poi una ripresa androgina di piedi che si muovono in un cono di luce, mentre il buio attorno funge da scenografia; e allora la luce viaggia per concederci le braccia, le dita, parti del tutto e poi forse, l’insieme che tanto comunque non possiamo capire: troppo complesso, troppo difficile. La conclusione: il ramo, di nuovo quel ramo che viene calato dall’alto verso il palco… la salma di qualcuno che non c’è più? Si galleggia nell’aria, poi ci si ferma ad un metro da terra, per ricongiungersi con qualcosa che ancora non conosciamo, e si rimane lì. Fermi, vuoti, drammatici, irrisolvibili eppure risolti. È il racconto della resilienza, la narrazione di chi tenta disperatamente di conservare la propria figura nonostante lo scorrere dello spaziotempo, nonostante lo sfacelo, nonostante le decadenze, i dubbi, la conoscenza e la conseguente malinconia. Fino al mistero sensuale dell’acquiescenza, del ballo libero che l’eremita dedica alla propria solitudine: la società è satura, quindi bisogna riscoprire il valore del singolo, che esiste al di là di qualunque massa.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Andrea Macchia