“Naturans da Auguste Rodin”, quando la materia corpo si fa dono
“M’è dato un corpo – che ne farò io di questo dono così unico e mio?” scriveva il poeta russo Mandel’štam. E il corpo, luogo in cui oggi più che mai è decisamente arduo incontrarsi, ritorna a essere una tra le questioni urgenti che muovono la quindicesima rassegna di Teatri di Vetro, tesa a far conoscere le ricerche di artisti tra i più considerevoli dello scenario performativo contemporaneo. Tra questi, significativa è la presenza della performer Alessandra Cristiani, che da anni indaga sugli aspetti interroganti e nascosti della natura corporea. Il nudo costituisce il “modo”, la sua via privilegiata per sondare nuove prospettive di raffigurazione e di pratica percettiva. Lo dimostra ancora una volta in “Naturans – Da Auguste Rodin”, performance presentata martedì 14 dicembre, presso la sala A del Teatro India di Roma.
Un’ “opera d’essere” che elogia l’intimo retrocedere al corpo, alla sua materialità spirituale, alle sue fenomenologie visibili e invisibili. L’evento scenico, traendo impulso dalla vasta raccolta di disegni erotici, “Il museo segreto” di Rodin, è il terzo tassello di una Trilogia: “La questione del corpo e l’arte di E.Schiele, F.Bacon, A.Rodin”, raccontato insieme a Samantha Marenzi e alle fotografie di Alberto Canu. Un progetto ambizioso che, appellandosi all’arte di tre irriducibili personalità, note per aver messo in crisi e aver rivoluzionato il segno iconografico, porta in campo la nudità, da intendersi non solo come corpo nudo, ma come esposizione del corpo in un continuo stato di allarme, che considera l’importanza germinale della sua struttura e della sua consistenza, senza trascurarne le criticità che ne possono derivare. Quella che Alessandra Cristiani dona allo sguardo dello spettatore è una nudità poetica, tutta orientata a far luce sul corpo come elemento attivo, metamorfico, aperto, fragile. Se da un lato Auguste Rodin, scultore e pittore francese del secolo breve, riproponeva il marmo come sede di movimento del corpo, lavorando sul non finito, quasi a voler suggerire che il rapporto con la materia non fosse facilmente risolvibile, la prova in scena di Alessandra sembra cogliere pienamente il pensiero dello scultore e farlo proprio, utilizzando la pratica dell’Ankoku Butō. Durante lo svolgimento della performance, a rendere più suggestivo il contatto tra “narrazione” corporea e pubblico, vi è una tela nera, disposta tra palcoscenico e platea, a ricordare un grembo che ospita il paesaggio interiore a cui pian piano la performer dà vita. L’invocazione della non azione, della dimensione del silenzio sono tutte possibili sorgenti presso le quali sostare in rituale ascolto. Mettersi in ascolto di un corpo che trae impulso dall’intimità delle superfici scultoree in questo caso, e costruisce, attraverso movimenti sottili e granulari un suo fervido dialogo con lo spazio circostante. La nudità mostrata nel segno ambiguo tra eros e pudore, inoltre, chiama in causa anche il concetto di reciprocità dello sguardo, che era già stata in passato una felice intuizione di Rodin.
Accanto alle sollecitazioni immaginifiche generate dalla danza performativa della Cristiani, si staglia il linguaggio musicale di Ivan Macera, una tessitura di sonorità composte dal vivo, ora più metalliche, ora più avvolgenti che connotano con audacia questa mappatura di trame sospese e involucri reali. È difficile poter rendere a parole l’affondo nel vuoto che una simile ricerca compie. Ma per chi vi assiste è percepibile una tensione che affiora da un corpo palpitante, presente a se stesso, e simile nella sua inquietudine allo spirito delle sculture forgiate da Rodin, decise a restare in qualche modo impigliato tra la terra e il cielo, tra il peso e la leggerezza, tra la pelle e l’anima, senza rinunciare né all’uno né all’altra. Quando le luci calde dei fari (Gianni Staropoli) si dissolvono, la danzatrice avanza verso di noi, un ultimo bagliore si posa sul suo volto. Si concede ai nostri occhi come una bianca, candida,“figuralità fantasmagorica” che viene risucchiata dal buio, mentre il canto di uccelli in sottofondo rende cristallino il sorgere di una nuova natura.
Diana Morea