Nada canta tra i trulli: la cantante livornese ha portato il suo nuovo disco in Puglia
Siamo in Val d’Itria, la depressione carsica a sud delle Murge che si estende tra Locorotondo, Cisternino e Martina Franca, tutti borghi che meritano di essere visti almeno una volta nella vita. Sulla strada che collega Putignano ad Alberobello, tra le campagne di Castellana e Noci, c’è un luogo delizioso: si tratta dellasettecentesca Masseria Papaperta, che da otto edizioni ormai ospita il FARM Festival, un conglomerato culturale che spazia tra la musica, l’arte e la danza. Una specie di Coachella pugliese, se vi garba il paragone, che ha avuto luogo il 12 e il 13 agosto.
Da quando è nato, il Festival si caratterizza per la presenza di artisti, italiani e non, tendenzialmente al di là dei circuiti commerciali più espansi e contenutisticamente facili. Artisti di nicchia, se volete. Emergenti ma, talvolta, anche negletti. Un’occasione per scoprire i giovani e anche chi, almeno anagraficamente, non lo è più. L’anno scorso, per esempio, c’era Myss Keta, l’irriverente e divertente cantautrice italiana famosa per aver scritto e interpretato pezzi come Una donna che conta, Milano sushi e coca e Burqa di Gucci. Due anni fa, invece, Giorgio Poi. Nel 2016 c’erano i Public Service Broadcasting, Cosmo – che tutti conosciamo per Sei la mia città – e La Municipàl. Un po’ di tutto, insomma, ma sempre sull’onda di quella subcultura che non riempie gli stadi per disinteresse. E anche il programma di quest’anno era piuttosto denso di quel tipo specifico di fauna musicale. Gli Psicologi, da conoscere anche se non vi piace il rap: il singolo antifascista Alessandra funziona molto bene. Ponzio Pilates, dei quali si può suggerire la visione e l’ascolto del videoclip di Vongole, definito un trip lisergico dagli autori di Rolling Stone. I Fast Animals and Slow Kids, consigliatissimi: ascoltate almeno Non potrei mai e Animali notturni, davvero graziose. Venerus, che beveva da una bottiglia si vodka, mentre cantava lento e biascicato. I Technoir, pazzesco duo electro-soul impegnato nella ricerca di nuovi ecosistemi musicali che pervadono la folla con la loro frequenza onirica e inerziale.
Il pubblico però è accorso a ondate per un’altra artista. Alle 22.30 del 13 agosto, infatti, è arrivata niente meno che Nada Malanima. Quando si chiacchiera tra amici e lei viene nominata, è altamente probabile che la conoscenza dell’interlocutore medio si fermi alla Nada degli anni Settanta e Ottanta, riassumibile per molti con Ma che freddo fa. Qualcuno forse si spinge fino ad Amore disperato. Sono altrettanti, però, coloro che hanno continuato a seguire l’arte di Nada, e ancora di più i ventenni che la scoprono in un punto avanzato della sua carriera e la amano per la sua inarrestabile capacità di raccontare i magmatici subalterni della realtà. E cosa consigliare a chi l’ha persa di vista? Potreste ascoltare miriadi di canzoni uniche, ponderate, a tratti metafisiche e a tratti veriste. Citarne qualcuna è difficile, perché si fa un torto a tutte le altre. Ma dovendo tentare questa impresa, si potrebbero ricordare almeno Re di denari (1972), Luna in piena (2007), Pioggia d’estate (2007), La bestia (2016). “Perché Nada è una di quelle brave e, troppo spesso, sottovalutate”, ha scritto Gaspare Baglio in un articolo di Rolling Stone datato 8 febbraio 2019, riassumendo abilmente le dinamiche dell’audience di questa cantautrice imperdibile, e che però molti si perdono. Nada è passata dalla Puglia perché è in tour: sta portando in giro per l’Italia il suo ultimo incredibile disco d’inediti – È un momento difficile, tesoro – prodotto con John Parish (peraltro mancano ancora parecchie date: qualche biglietto si troverà ancora, se volete andare a sentirla). È salita sul palco principale vestita da corvo, ha ringraziato i presenti, e ha sprigionato la sua voce, più forte di quella di tanti suoi coetanei. L’energia libera e selvatica era palpabile, e confluiva in una folla sinceramente emozionata. C’è stato, è vero, un piccolo problema tecnico legato ai microfoni, che però è stato gestito professionalmente e subito risolto. Tanti gli inediti cantati: Dove sono i tuoi occhi, O madre, Disgregata, Stasera non piove. Minore la sezione dedicata ai successi del passato. Incantevole la versione a cappella di All’aria aperta. Il grande assente? Proprio quel Ma che freddo fa, ma forse è meglio così. Un grandissimo pezzo, però c’era molto altro da ascoltare. Lodevolissima, infine, la band. Un gran bel concerto, dunque; un’occasione per incontrare parole autentiche, pensieri coinvolgenti, tonalità ancestrali. È complesso spiegare come sia Nada dal vivo, specie in questo momento storico in cui la cultura, e in essa la musica col cantautorato, viene continuamente bistrattata per lasciare posto a dei surrogati più o meno accettabili. Nada scrive e canta della porzione di terra che tutti occupiamo, del segmento di aria che tutti respiriamo, raccoglie ciò che ci accomuna e ce lo offre in pillole di versi e note, poi giunge dinnanzi a un pubblico e interpreta ciò che ha capito, ciò che ha colto, conservando però tutte le deliziose e umane imperfezioni che la rendono umile. Si muove sgraziata e tribale attorno al microfono, come una creatura antica che la sa lunga sul senso di tutto; urla tutta la bellezza e la bruttezza, la felicità e la tristezza, le unioni e le solitudini che caratterizzano gli umani. Dopodiché torna nella sua tana, per ricominciare a dipingere un altro angolo di verità.
Davide Maria Azzarello