MUHAMMAD ALI AL TEATRO NUOVO DI NAPOLI
“Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto, è un’opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre. Impossibile è niente”. – Muhammad Ali –
Non conoscevo la vita di Muhammad Ali, il più grande boxeur della storia, né tanto meno conoscevo Cassius Clay, erano solo nomi per me. Ma, come direte voi, Sono anche la stessa persona. Sì, ma non lo sapevo. Stasera a teatro pensavo di trovare storie di pugni e cazzotti veloci, sudore mischiato a sangue, un’americanata insomma e invece no. Quello che ho trovato stasera, al Teatro Nuovo qui a Napoli, è stata la storia di uomo che potrebbe ispirare, con pochi anni della sua vita, mille anni ancora delle nostre, tutti noi con un solo combattimento sul ring, anche solo con una delle sue frasi. Io stesso, una volta uscito, sono corso in studio a dipingere illuminato dal più grande, dall’uomo che ha lottato contro un coccodrillo, combattuto con una balena, l’uomo che ha ammanettato i lampi e sbattuto in galera i tuoni. Irradiami Muhammad Ali e il tuo nome continuerà a risuonare nelle nostre teste.
“Irradiami” di Antonio Conte, dipinto ispirato dallo spettacolo “Muhammad Ali” di Pino Carbone
Da domani ogni volta che mi alzerò dal letto, penserò alle ore perse dormendo cercando di arricchire quelle che ho davanti e moltiplicarle per tre o anche quattro volte se mi riesce. Non ho assistito alla storia di un pugile, ma a quella di un uomo che ha ispirato la drammaturgia di Linda Dalisi, la regia di Pino Carbone e l’attore Francesco Di Leva.
C’è tanta musica e atmosfera, e parole, parole “come se piovessero”. La scena si apre con un uomo – Pino Carbone – intento a fumare una sigaretta, musica e fumo come in un locale, un dj che mette i dischi: una colonna sonora. Da subito ci sentiamo coinvolti sul ring della vita di Ali. Francesco Di Leva è tra il pubblico, arriva sul palcoscenico passando tra la folla come un vero pugile e sempre sarà con noi tutta la sera, parlando e chiedendo la partecipazione attiva delle persone, perché la vita è questa, condivisione e comunione con gli altri. Non è la storia di uno sportivo, è la storia di un uomo che ha combattuto fuori e dentro il ring. La storia di un matrimonio, uno dei tanti. La storia di un uomo che ha lottato contro il razzismo, usato ogni gesto per difendere e abbattere barriere, tanto da cambiare il suo nome Cassius in Muhammad Ali, non più un nome da schiavo, ma un nome scelto che vuol dire “amato da Dio. La storia di un uomo che ha perso il titolo e poi lo ha riconquistato, di un uomo che ha affrontato la galera per le sue convinzioni contro il conflitto militare. Non è la storia di un pugile, è la storia di una bicicletta rubata, il racconto di una giostra di vita, dove troviamo legati oggetti e ricordi che girano sopra le nostre teste. Un meccanismo perverso che gira e gira, situazioni che ci rendono quello che siamo, dalle quali non possiamo scappare. “Chi non è abbastanza coraggioso da assumersi le proprie responsabilità non compirà mai nulla nella vita” e allora gira la giostra mentre il re del mondo, l’astronauta della box si sfoga contro un telone bianco che diventa di volta in volta schermo e contenitore. Fondale e sacco dove sfogare la propria rabbia quando i ricordi si affollano e le ombre si addensano tra le pieghe della tela, merito di Mimmo Palladino.
Uno spettacolo come un dripping di Pollock, storie e frammenti di una vita lunga almeno tre volte una vita normale, linee di racconti apparentemente buttate la che s’intrecciano, che si amalgamano, pennellate che vanno a comporre una poesia più che un’esistenza. Una poesia come quella scritta da lui, breve e intensa che racchiude quello che per me è stato stasera Ali, “io, noi”.
Fino al 28 ottobre al Teatro Nuovo di Napoli.
Antonio Conte