“Mosche”, l’arroganza della mediocrità
“Mosche” (Voland, 2024, pp. 216, Euro 18,00) è il nuovo romanzo di Valentina Santini, nata nel 1983 nella Maremma grossetana, laureata in Psicologia, collaboratrice come editor e copywriter con alcune realtà editoriali.
“Quello che mi è accaduto per arrivare qui, ora, a questa doccia, a Magdalen nuda e narcotizzata, ai kit monodose, alle macchine con l’autista, ai rimborsi spese, ai microfoni, alle interviste, ai milioni di follower, inizia con un altro me, in un punto qualunque di quello che ero. E mi rende vincitore.”
Francesco Sforzi ha quarantasei anni, consegna volantini con la sua bici modificata, vive ancora con i genitori. Rabbioso, razzista, è convinto che il mondo sia in debito con lui. La nonna paterna, Margherita, è il suo principale punto di riferimento, nonché chiave di volta del racconto, ma è ormai affidata alle cure di una struttura. Un giorno gli viene chiesto di ripulire la vecchia villa in cui la nonna ha passato la sua pittoresca vita, in modo che possa essere messa in vendita. Un luogo in cui sono custoditi cimeli di ogni tipo. Nel mettere in ordine, Francesco si imbatte non solo nei più svariati oggetti, in agende, appunti foto e ricordi, ma anche in una verità che gli è stata da sempre taciuta. Proprio questa verità sarà per lui un nuovo inizio: diventa capolista di partito e le sue apparentemente rigide convinzioni generano voti su voti, follower e consensi.
“Consta solo quello che entra nel tuo spettro visivo, conta solo che la distrazione sia abbastanza forte, deflagrante, luminosa da non farti guardare dove non dovresti. È la tecnica del prestigiatore. (…) Non è magia, si tratta di attenzione. La verità è che non potrai mai guardare tutto, notare tutto, sapere tutto. Ci aggrappiamo a qualsiasi indizio pur di formarci velocemente un’opinione. Meglio se condivisibile, meglio se facile, meglio se già sentita, meglio se rapida.”
Francesco incarna al tempo stesso l’uomo medio (medio basso a dirla tutta) e il politico medio (medio basso, anche quello). È il pensiero illegale, quello razzista, quello arrabbiato che vede sempre e solo il marcio, il complotto, ma non indaga per sapere com’è che stanno per davvero le cose. Non perde tempo a formare un pensiero, parte da uno già usato, talmente tanto sentito e stra-risentito che deve essere vero per forza. Francesco è il superficiale che vuole ingaggiare grandi battaglie, a parole, ma si ferma appunto alla superficie delle cose, ai like sui social. Francesco è quel popolo che non chiede soluzioni, ma slogan, frasi semplici che lo facciano sentire migliore, “la complessità è nemica del consenso”.
“Le parole escono da sole. Le bugie suonano come verità. La meraviglia di spezzare le catene, di aizzare le folle. La vendetta che cresce.”
La storia di Francesco è quella di un corto circuito: lui entra nel sistema e mette in pratica le modalità che critica, alternando realtà e allucinazione e lontano anni luce dalla coerenza. È quello che punta il dito contro l’omosessuale, e di nascosto si mette abiti e tacchi della nonna, per capirci. Rappresenta quanto c’è di peggio su piazza: il controsenso, la rabbia repressa (male), la convinzione che siano sempre gli altri a dover fare qualcosa per noi.
In mezzo a tanta mediocrità, incuranza, Santini ci racconta di come sia pericolosamente facile l’ascesa al potere, quel parlare alla pancia delle persone che spegne ogni razionalità.
“I pensieri sono cose che si impossessano di me, mi invadono. I pensieri comandano le decisioni e le azioni. Spesso i pensieri sono insetti giganteschi che mi mangiano tutta la testa.”
Una buona lettura, buona anche per capire come non diventare.
Laura Franchi