“Montagna di sabbia” di Joanna Bator
“Montagna di sabbia” (Voland, pp. 391, euro 18. traduzione Barbara Delfino) è il romanzo che ha consacrato la sua autrice, Joanna Bator, come una delle voci più interessanti del panorama letterario europeo.
“La terra riconquistata di Walbrzych risveglia speranze soprattutto in chi non ne ha mai avute. Non vengono da nessun luogo, ma vogliono avere il proprio tornaconto e appartenere a un luogo.”
La storia che la Bator splendidamente ci narra si estende a tutto il secolo scorso: dai Territori recuperati occupati dalla Germania prima della Seconda Guerra Mondiale, dopo la quale ridiventano polacchi, all’era di Gierek caratterizzata dalla prosperità mineraria. Tuttavia, il cuore del racconto è nella Polonia dei primi anni ’70, carichi di promesse di una vita migliore per tutti, e con un carico altrettanto pesante di delusione generale.
Jadzia e Stefan Chmura, sposi novelli e genitori della piccola Dominika, varcano la soglia del loro nuovo appartamento a Piaskowa Góra (Montagna di sabbia, per l’appunto), nella periferia di Walbrzych. Il modernissimo quartiere edificato dal governo socialista per le famiglie dei minatori vanta comodità e benessere, ma presto la montagna di sabbia sulla quale è costruito rivela tutta la propria ingannevole fragilità. Così come la rivela il caseggiato in cui i protagonisti si muovono, chiamato “Babel”, un vero e proprio microcosmo e metafora di una Torre di Babele moderna.
È una sorta di saga familiare da cui emergono tre generazioni di donne forti e di uomini che provano ad esserlo altrettanto, ma per quanto loro bevano, portino i soldi a casa, abbiano in mano il potere, sono sempre le figure femminili, maltrattate, vedove, sole, a restare predominanti, a muovere le fila.
Dalla saga emergono numerosi personaggi che si intersecano e si disvelano senza fretta capitolo dopo capitolo. Storie che si intrecciano, stridono e poi si assestano, le cui versioni cambieranno e saranno adattate alla situazione.
Sullo sfondo un mondo che inesorabilmente cambia, abbandona il socialismo e si converte al consumismo. E la Bator ci accompagna in questo cambiamento, raccontando il quotidiano che si trasforma, i sogni che si trasformano, ma anche antiche paure difficili da mandare via e che fanno nascondere sacchi di zucchero nei ripostigli perché non si sa mai che può succedere.
E se è vero che, come dice una dei personaggi “il destino non si cambia”, si può comunque prendere in mano la propria vita, in barba ai detti, ai vicini che (s)parlano, ai dogmi.
Ed è proprio quello che farà Dominika capace di portare alla luce alberi genealogici più ramificati del previsto, di riportali in vita dando loro la giusta collocazione e spezzando catene che sembravano indistruttibili. Perché Dominika “desiderava la difformità in cui la sua diversità avrebbe finalmente trovato un nome e una forma”.
Una prosa densa, quasi priva di paragrafi, ma anche carica di ironia e di poesia, che ci racconta del mondo che va avanti nonostante noi, di rapporti chiusi negli stereotipi uomo/donna fatti di incapacità di comunicare oltre quelli, e in cui ci si guarda con curiosità da dietro muri di silenzio. Ma alla fine tutto e tutti si ricollegano e ricongiungono meravigliosamente.
“Riusciremo comunque a ritrovarci nella giunga dell’umanità,/il desiderio vertiginoso ci avvicina./Le tracce orfane dei nostri due pianeti convergono finalmente,/ i nostri corpi saranno collegati meravigliosamente.”
Laura Franchi