“Moby Dick” al Teatro dell’Acquario di Cosenza
Dov’è l’ultimo porto, donde non salperemo mai più? – Herman Melville, Moby Dick
Lo scorso fine settimana nell’ambito della Stagione Teatrale 2019 – è andato in scena al Teatro dell’Acquario di Cosenza lo spettacolo “Moby Dick” con Maurizio Stammati – una produzione del Centro R.A.T./Teatro dell’Acquario di Cosenza – con la regia di Antonello Antonante.
Maurizio Stammati, unico attore in scena, ci accoglie con una vecchia copia ingiallita del romanzo Moby Dick, capolavoro letterario di Herman Melville. La prima azione sul palco è accendere un lume, simbolo della ricerca della conoscenza. Ma anche luce che rischiara le tenebre; luce come speranza di illuminazione per una mente annebbiata dalla follia come è la mente di Achab, preda della propria sete di vendetta e della propria superbia. La scenografia curata nei dettagli trasforma il palcoscenico nella baleniera Pequod; la vediamo salpare e prendere il largo prima su di un mare calmo, piatto, poi, grazie ad un abile gioco di luci e di suoni, ci ritroviamo in piena tempesta. Un viaggio che è allegoria dell’uomo alla ricerca di sé stesso attraverso le profondità dell’animo umano. Achab è il capitano della baleniera Pequod, che lascia la terraferma a caccia di capodogli e balene, ma in realtà Achab cerca soprattutto Moby Dick, la balena bianca che anni prima “gli aveva falciato la gamba, come un mietitore fa di uno stelo d’erba in un campo“. Achab riesce alla fine a trovare la balena bianca ma è accecato dalla collera e nel tentativo di vendicare la sua anima ferita, nel feroce inseguimento muore e con lui tutti i suoi uomini. Tutti, tranne uno: Ismaele, che vivrà per raccontare la loro storia. “Chiamatemi Ismaele” – la frase che è incipit del romanzo è anche la fine di questa coinvolgente rappresentazione teatrale: il soffio sul lume che spegne per sempre la luce della ragione, là dove Achab ha fallito come fallirebbe chiunque facesse prevalere la propria arroganza durante quel viaggio che è ricerca della verità in sé stessi.
Ma i fili mescolati e mescolantisi della vita sono intessuti a trama e ordito: le calme sono attraversate da tempeste, una tempesta per ogni calma. Nella vita non c’è un fermo progresso continuo, noi non avanziamo per gradi fissi verso la pausa finale: attraverso l’inconsapevole incanto dell’infanzia, la fede spensierata dell’adolescenza, il dubbio della giovinezza (il destino comune), e poi lo scetticismo, poi l’incredulità, noi ci fermiamo infine nel riposo meditabondo della virilità, il Se. Ma una volta finito, ripercorriamo la strada, e siamo bambini, ragazzi e uomini e Se, in eterno.
Letizia Chippari