Milano, Dario Fo e Sant’Ambrogio
Continuando di giorno in giorno con la scelta di un tema da affrontare, a Tempo di Libri si arriva a toccare, in tutte le declinazioni possibili, Milano, città che ospita la fiera, polo di cultura e capitale dell’editoria italiana. Si parla di grandi milanesi, intellettuali che hanno amato la città e hanno saputo narrarne la storia e le origini. Federica Fracassi e Giuseppina Manin portano il loro pubblico alla scoperta della Milano raccontata da Dario Fo in Sant’Ambrogio e l’invenzione di Milano. Attraverso una profonda analisi delle fonti storiche Fo inframezza cronaca a pensiero critico facendone emergere uno ulteriore e trasversale, ai più sconosciuto, che trova di tanto in tanto punti di contatto con il proprio.
La voce limpida e avvolgente di Federica Fracassi lascia riaffiorare le atmosfere e le consuetudini di una Milano “città d’acque” arcaica alla ricerca di una guida spirituale, compito che Ambrogio non si sente in grado di assolvere. Ricorre, perciò, a escamotage grotteschi per mostrare il suo lato debole e carnale, l’unico che possa fornirgli un alibi per non accettare l’oneroso incarico che il popolo si ostina a volergli affidare.
L’Ambrogio alter ego di Fo fa coesistere un rigore appreso ad una spontanea e innata curiosità che lo spinge a voler scoprire le realtà che lo circondano. Rivaluta il carnevale, che non vede come minaccia per la cristianità, ma come valore aggiunto da conservare per abbracciare nella sua interezza la comunità di cui è a capo. Lungo un incontro che è un imperterrito palleggio tra autore e personaggio storico, si accumulano i punti di contatto: il sogno di una Milano viva, multietnica, inglobante e confortevolmente aperta ad ogni esperienza e innovazione, risuona come un progetto a lungo termine per l’attuazione del quale non si deve smettere di impegnarsi, rinnovarsi e reinventarsi. Nessuna città è al pari di Milano, neanche Roma. Come legge accortamente Fracassi, scorrendo le battute incalzanti del dialogo tra Ambrogio e Agostino, il capoluogo lombardo si è dimostrato il solo luogo in cui il filosofo nordafricano si sia sentito compreso, pronto a gettare le radici di una cristianizzazione. Sant’Ambrogio e Dario Fo si accavallano, si sovrappongono e diventano un tutt’uno simbiotico, riflesso cangiante, portatore di un messaggio universalmente comprensibile, protettori di un’utopica dimensione metafisica tutta da costruire e da ideare. I loro destini incrociati si disgiungono sul versante religioso ma si congiungono nella laicità, nell’amore di un “popolo” di seguaci fedeli e attenti che li assiste lungo tutto il loro cammino terreno e li scorta verso la morte.
Il pathos e la commozione crescono e dilagano impetuosamente in chiusura quando Federica Fracassi, vistosamente emozionata, legge le cronache di due funerali simmetrici e sentiti, e vissuti intensamente. Milano ha risposto ai richiami dei suoi istrionici intellettuali ed è esplosa in una compartecipazione massiccia per rendere loro omaggio. Ci si chiede, in fondo, con il sorriso sulle labbra, come Dario Fo avrà vissuto ed interpretato tutto questo, si sarà sentito empaticamente fratello del suo Ambrogio di carta, o l’avrà interpretata come una buffa misteriosa coincidenza da annotare tra gli empirici avvenimenti di una vita non convenzionale?
Benedetta Pallavidino