Michele La Ginestra – Intervistarlo: un bellissimo privilegio!
Michele La Ginestra, classe ’64, romano di Roma, marito e padre, attore poliedrico, oltre che avvocato.
Aspetto da eterno ragazzo, sorriso aperto e grande umanità.
Intervistarlo: un bellissimo privilegio!
1 – Quest’anno ricorre per te il ventesimo anniversario di “matrimonio” con il Teatro 7. Sembri ancora un ragazzo, ma il tempo corre… Quanto ci hai messo a decidere di intraprendere questo impegno? Da cosa è nato il tutto?
Ho incominciato quest’impegno con il Teatro 7 nell’ambito di un’associazione di volontariato per la prevenzione della delinquenza minorile, che era nata in parrocchia: abbiamo scoperto che il teatro era una delle cose più interessanti che potessero esserci per i ragazzi, per creare un’alternativa alla strada, un interesse. Perciò abbiamo cominciato a fare i vari spettacoli nel salone parrocchiale, che aveva il palco in fondo. In quel periodo io stavo crescendo come attore, andavo in giro per i teatri, e decisi di parlare con quel sacerdote illuminato, che era padre Giuliano dicendogli: “Ma perché non ristrutturiamo il teatro e lo facciamo diventare un teatro vero?”. Lui mi è stato a sentire e così abbiamo costruito questo teatro. Io nel frattempo facevo un doppio lavoro (quello dell’avvocato) e non avevo necessità di vivere di teatro. È nato tutto così spontaneamente, perciò non ci ho messo nulla a decidere. L’impegno economico c’è stato, ma non ce ne siamo accorti perché avevamo investito tutto quello che avevamo raccolto e altri soldi, ma senza necessità di dover lucrare nulla, se non ripagare le spese. E così è stato. Dopo 7 anni siamo riusciti a ritornare in attivo ed è diventato il Teatro 7, uno di quelli che funziona meglio nel panorama teatrale romano.
2 – C’è un aforisma romano che recita: “Chi te fa sorride’ te salva la vita senza sapéllo.”. Sei consapevole che ti calza a pennello? Sia come interprete che come regista. “Parzialmente stremate” ad esempio ti vede dietro le quinte, ma la responsabilità delle grandi risate in sala è anche tua!
Io penso che il sorriso sia proprio un criterio per vivere meglio, per essere più sereni e donare serenità. Se riesci anche a far ridere, è il massimo che si possa raggiungere. Se si riesce a far ridere in modo intelligente, è proprio il risultato finale, quello che insomma vorremmo portare avanti con il nostro teatro: quello di riuscire attraverso una risata a portare una riflessione. Perciò se tu riesci ad abbattere le barriere che l’altro mette nei rapporti interpersonali, attraverso una risata, poi si può parlare anche di argomenti più seri, più importanti. E quello ti ascolta anche con molta più facilità. È questo il nostro teatro, quello che portiamo avanti.
3 – Ho letto che ti ha scoperto Garinei, mi parli delle sensazioni che hai provato in quel momento, di quando ti ha parlato per la prima volta?
Io Garinei l’ho “corteggiato” perché avrei voluto diventare “Rugantino” e avevo organizzato insieme a Sergio Zecca uno spettacolo proprio per farlo vedere a lui, nella speranza che potesse venire. È venuto, mi ha chiamato il giorno dopo, mi ha convocato nella sua stanzetta, abbiamo parlato un’ora e mezzo e io ero entusiasta già per quello… (ride) Dopo, l’emozione è stata tanta, ma non mi ha frenato: il mio sogno era quello di fare il Rugantino al Sistina. Poi, pian piano, allo stesso spettacolo sono intervenuti come pubblico il direttore del Sistina, l’Ufficio Stampa, Gino Landi e alla fine Sabrina Ferilli. Dopo 20.500 provini, anche cantati, lui ha detto che sarei stato il Rugantino, il “nuovo Rugantino” e questa è stata una gioia incredibile! Però sono partito dal basso. Ho costruito uno spettacolo per farlo vedere a Pietro Garinei.
4 – Mi dici qualcosa del tuo Remo de “I figli della lupa”? La tua impronta da bravo ragazzo, ti ha concesso addirittura di riscrivere la Storia. Non è cosa da tutti…
“I figli della lupa” è stata una bellissima esperienza perché ho lavorato con Gigi Magni, Nicola Piovani, Pietro Garinei, Valeria Moriconi. Purtroppo non ha avuto la fortuna che pensavamo potesse avere. Era una storia molto romana a noi piaceva molto. Impronta da bravo ragazzo… sì, ma quella non è che l’ho riscritta io, la storia era stata impostata proprio con questo Remo ecologico, ecosostenibile… un verde, al contrario di un Romolo palazzinaro! E certo che poi dopo riscritta su di me, fatta apposta, l’ho adattata poi allo sguardo, al sorriso, all’innocenza, che insomma dovevo manifestare sul palcoscenico. È stato un lavoro di gruppo, molto interessante.
5 – Passando dal mito alle favole: con le scritture teatrali ti sei cimentato anche in spettacoli per bambini, stimolato e incoraggiato dai tuoi figli. È stato più impegnativo o più emozionante, considerando quanto sia contagiosa la gioia pura dei più piccoli?
Scrivere per i bambini è una cosa non facile, nel senso che devi scrivere e parlare loro… è stimolante. Sì, sono stato incoraggiato dai miei figli, ma era la voglia di scrivere, dopo aver visto altri spettacoli per bambini, anche per i genitori. Perché io mi rompevo tantissimo le scatole quando li portavo a teatro e dicevo: “Ma è possibile che esista un teatro solo per bambini e non anche per i genitori?”. Perciò ho scritto delle storie che potessero interessare anche i più grandi, cercando di dare emozioni ma anche qualcosa di educativo. Abbiamo affrontato anche testi classici come l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide, ed i temi mitologici con protagonisti gli dei dell’olimpo. Abbiamo cioè cercato di spaziare un po’ tra le cose che piacessero ai ragazzi, ma che potessero essere anche educative. È stata una bella esperienza, a cui però si può arrivare se si è genitore, sennò non riesci.
6 – Che padre sei? Tendi a guidare i tuoi ragazzi con le parole, oltre che con i fatti, oppure li lasci scegliere da soli e quindi anche sbagliare?
Come genitore penso di essere un bravo papà, ma penso lo dicano tutti. Io ce la metto tutta. Vorrei che dopo avermi ascoltato, facessero comunque le loro esperienze. Ogni tanto mi trattengo anche dall’intervenire, perché secondo me è giusto pure che sbaglino, ah… sì, si! Sperando non si facciano troppo male. Ma se tu hai seminato bene, alla fin fine, sei anche abbastanza sereno di non avere delle sorprese. Poi le stupidaggini le abbiamo fatte tutti quanti, le faranno anche i miei figli, ma è normale che sia così. Spero che tutto quello che è stato insegnato, anche con l’esempio, possa essere di monito.
7 – L’importanza dell’altro, dell’essere umano è realmente palpabile nel tuo teatro, sempre aperto a occasioni e incontri legati alla beneficenza.
L’importanza dell’altro è essenziale nel mio teatro, ma anche nella vita. Io penso di dover portare avanti una missione: ho avuto il privilegio di poter parlare agli altri, di essere comunicativo, ma non per la mia gioia personale. Penso che ognuno di noi abbia un talento da sviluppare, abbia un compito da portare a termine e la soddisfazione di non farlo soltanto per sé stessi ma anche per gli altri penso che sia cento volte maggiore rispetto a quello che agisce solo per sé. Se riusciamo con il teatro ad essere utili agli altri è un bel modo. “Siamo utili divertendoci” dico sempre io alla fine dello spettacolo: che vuoi di più dalla vita?
8 – Vorrei tu mi potessi dire qualcosa su ogni spettacolo che hai fatto, ma sono talmente tanti, che non è possibile. Puoi parlarmi di quello che ricordi con maggiore coinvolgimento? Forse uno di quelli per cui sei stato premiato. Oppure…
Gli spettacoli a cui sono più legato sono facili. Uno è “Radice di due” lo spettacolo che ho portato con Edy Angelillo in giro per l’Italia per otto anni. Uno spettacolo che ha vinto dei premi, scritto da Adriano Bennicelli con la regia di Enrico Maria Lamanna. È uno spettacolo che ci ha dato enorme soddisfazione perché parla della storia di una coppia, che si sviluppa e cresce negli anni, da quando erano bambini fino alla vecchiaia. L’altro è lo spettacolo dell’anima, “Secondo me”, scritto con tutto il cuore. La regia è stata di Augusto Fornari, con Sergio Fiorentini. Uno spettacolo molto delicato, che ha scioccato il pubblico toccando temi importanti quali quelli della fede e della morte, sempre attraverso la risata. Qualcuno diceva: “Sembrano due spettacoli diversi, uno di seguito all’altro!” Perché fino a tre quarti si rideva a crepapelle e poi si piangeva.
9 – Che effetto fa essere stato l’ultimo Rugantino con Garinei e Giovannini?
“Rugantino” è stato uno degli spettacoli a cui ho voluto più bene, che rifarei anche domani. Essere stato l’ultimo Rugantino con Garinei e Giovannini è forse una bella soddisfazione da raccontare in giro, ma credo che non si debbano poi esaltare troppo queste esperienze bellissime. In fondo il mondo continua, anche artisticamente. Ed è bello sperimentare altre cose.
10 – La tua romanità non traspare soltanto quando dai prova della tua coinvolgente ars oratoria, ma anche nella tua passione per il cibo. Che radici ha?
La romanità è qualcosa che ti senti dentro. La cosa che mi piace più della romanità è la schiettezza, questa capacità di sdrammatizzare le situazioni con una battuta, di sorridere sempre e di ridere anche delle cose più difficili e penso che sia un buon modo per parlare agli altri. Ho scoperto però che questa romanità col passare del tempo è diventata un po’ più volgare e mi fa piacere di essere messaggero di una romanità degli altri tempi che è quella dei nostri nonni. Una romanità molto più distaccata… La battuta, alla fin fine, appartiene anche ai romani di oggi ed è un buon modo per affrontare le difficoltà della vita.
La passione del cibo è una passione che deriva dal fatto di aver avuto una mamma che cucinava molto bene. La voglia di avvicinarsi alla cucina per essere un po’ autonomi e anche per sperimentare nuovi piatti ha fatto sì che diventassi un cultore della materia, quale fruitore. Poi, il passaggio a “Cuochi e fiamme” mi ha fatto diventare un esperto (ride) agli occhi del prossimo, ma è tutta fuffa… Mi piace mangiar bene e inventare cose nuove anche da cuoco, ma insomma… quelli che sanno cucinare bene sono altri.
11 – Molti tuoi fan ricordano con nostalgia la fiction “Nati ieri”, in cui erano preponderanti la forza dei sentimenti e l’umanità. Il tuo ostetrico poi è indimenticabile! Hai lo stesso positivo ricordo?
Ho un bellissimo ricordo di “Nati ieri”. Mi dispiace non sia andato avanti, ma i misteri della televisione sono infiniti. Fortunatamente non ci appartengono. Era un bellissimo gruppo, eravamo tutti colleghi che si stimavano, bella regia di Carmine Elia, Paolo Genovese e Luca Miniero. Beh, è la vita, è la vita che ci racconta, in poche parole, che dietro a grossi interessi economici non può esserci soltanto un valore artistico e purtroppo è la vita della televisione.
12 – Si dice che “La cattiveria dei buoni sia pericolosissima”. Tu che appari e dimostri sempre di avere un buon carattere, per cosa potresti diventare l’opposto? Cosa è che ti fa o farebbe esplodere la rabbia?
Ma io non riesco a essere cattivo. Magari posso urlare o alzare la voce, poche volte, ma quando lo faccio è perché vedo che le cose vengono fatte veramente con la mano sinistra. Oppure quando vedo l’ottusità, la stupidità di quelli che non sono disposti ad ascoltare. Ecco quello proprio mi fa arrabbiare, perché nel confronto invece possiamo crescere e secondo me è un buon modo per risolvere qualsiasi problematica. Nella transazione si vede il bravo avvocato. E nella vita dobbiamo concedere sempre qualcosa agli altri per trovare una soluzione. Quando vedo che c’è una chiusura, come quelli che ti dicono: “No, è una questione di principio.”, ecco là non si può parlare più!
13 – Ti sei fatto conoscere in TV nel 1994 vincendo “Beato tra le donne” e alla TV ogni tanto ritorni: ultimi in ordine di tempo “Cuochi e Fiamme”, che hai citato, e “Il programma del secolo”*. Quest’ultimo rappresenta una chicca, dato che ha unito due generazioni distanti per età e cultura. Il tuo ambiente appare essere comunque il teatro, che calchi dal 1992, almeno così riporta la tua biografia, e l’elenco dei tuoi lavori è davvero lunghissimo! Pensi di tornare a breve in televisione o per adesso non hai programmi in tal senso?
Il teatro lo frequento da molto più tempo. Io lo faccio partire dall’86 quando con Alessandro Prugnola cominciammo a fare uno spettacolo insieme, poi è diventato un qualcosa di quotidiano. Io alla televisione mi concedo, ma devo incastrarla con gli impegni teatrali. Nel senso che il teatro si organizza un anno prima, perciò poi ad ogni altro devo dire di no, se non trovo lo spazio. Tornerò a fare “Il programma del secolo”, tra poco lo registreremo. Io ben volentieri farei televisione, più che altro perché mi dà la possibilità di parlare a più persone possibili. Però una televisione di qualità è difficile da trovare. Il quel programma siamo riusciti a farla, ma questo è un privilegio che ci dà TV2000 e per questo mi fa molto piacere di collaborare con loro.
14 – Parlami di “Due di notte” lo spettacolo con Sergio Zecca, in scena adesso al Teatro 7. Ho visto che c’è un grande coinvolgimento del pubblico. L’avevate già pensato così o si è modificato in corso d’opera?
Lo spettacolo con Sergio Zecca, nasce tantissimi anni fa, perché lui lo fece con Massimiliano Bruno, poi l’abbiamo rifatto 17 anni fa: era lo spettacolo che avevamo deciso di far vedere a Pietro Garinei. L’avevamo rivisto, anche stravolto… E il coinvolgimento del pubblico è totale. È la storia di due conduttori radiofonici che la notte di Natale lavorano. Vogliamo far vedere il dietro le quinte di una radio. Le radio sono molto coinvolgenti per chi le ascolta, ma spesso e volentieri non si sa che ci sono dei giochetti che si fanno tra conduttori in diretta. Noi li sveliamo e poi vogliamo, attraverso le pause tra una pubblicità e l’altra, riuscire a far capire quanta umanità c’è attraverso una voce di un conduttore. Sono esseri umani con le loro problematiche. Nel confronto tra i due esce fuori questa umanità, con le loro difficoltà e anche una grande amicizia, che è poi il senso della storia.
15 – Un desiderio ancora irrealizzato ce l’hai?
Ma io non ho grossi desideri, nel senso che io sto ottenendo tutto dal punto di vista professionale, artistico, umano, perché ho una bella famiglia, una moglie straordinaria, due figli, che sono bravi ragazzi, con tutte le difficoltà dei giovani di adesso (sorride): lo studio, gli interessi, il futuro… Però non ho dei desideri. Mi piacerebbe fare un po’ più di cinema, ma più che altro perché il cinema è chiuso, per provare attraverso di esso una nuova forma di espressione. Ma poi veramente io sono un uomo realizzato. Se riuscissi a dare più soddisfazione possibile agli altri, a tante persone che si rivolgono a me per trovare un lavoro, per trovare una possibilità di confronto, un po’ di serenità… Questo vorrei realizzarlo, riuscire ad ampliare il numero di persone a cui essere utile.
E poi, morire sorridendo, ecco forse questo è il desidero che mi piace di più!
http://www.michelelaginestra.it/
* L’Osservatorio Media del MOIGE (Movimento Italiano Genitori) ha assegnato a “Il programma del secolo” il “Premio Tv” 2016/2017, finalizzato ad esaltare le trasmissioni capaci di intrattenere e divertire in maniera semplice e pulita adulti e bambini, stimolando il senso critico delle giovani menti. La foto a destra ritrae il conduttore Michele La Ginestra quando ha ritirato il premio alla Camera dei Deputati.
Francesca Padula