MICHELANGELO – Vittorio Sgarbi al Teatro Olimpico di Roma
Sgarbi quando racconta l’arte ammalia. Si ascolterebbe per ore proprio come lo abbiamo ascoltato per quasi due ore e mezza al Teatro Olimpico di Roma – dove sarà fino al 18 marzo – mentre ci raccontava di Michelangelo Buonarroti. Inframezzato dal suono del violino di Valentino Corvino e accompagnato dalle immagini visive di Tommaso Arioso e dalla preghiera di San Bernardo alla Vergine dall’ultimo canto del Paradiso di Dante, il prof. Vittorio Sgarbi ci parla di questo grande artista rinascimentale italiano partendo dall’opera che lo rese subito famoso, alla giovane età di 24 anni, La Pietà. Era il 1499. Una Pietà legata in modo indissolubile alle parole di Dante Alighieri che si trasformano attraverso la mente prima e le mani poi di Michelangelo per prendere la forma che conosciamo. Una pietà sui generis dove, al posto del dolore per la morte del figlio, troviamo una viva e pacata rassegnazione e dove i segni del tempo lasciano sul volto di Maria una giovinezza eterna.
Un excursus di opere del grande Michelangelo: il David, la Cappella Sistina, il Mosè e una serie di geniali collegamenti che il professore ci illustra e che ci portano da una parte all’altra dell’Italia, da Roma a Bologna, Milano fino in Calabria e continuamente avanti e indietro nel tempo: da Jan Fabre torniamo a Manet e di nuovoai giorni nostri e poi ancora Pontormo e I bronzi di Riace, Bellini, Picasso, Botticelli, Caravaggio e la meravigliosa opera di Niccolò dell’Arca o le pennellate di Munch. Alla base di tutto c’è la bellezza che ruota intorno alla civiltà cristiana. Tutto si amalgama sempre di più fino ad arrivare a riferimenti intellettuali, come Pasolini oppure ai nostri politici e ai nostri personaggi mediatici per renderci conto che siamo in un secolo dove oramai la pittura non è più la massima espressione.
Vittorio Sgarbi ci racconta tutto questo in modo leggero, regalandoci sempre bellezze nascoste. Ci spiega la differenza tra il dolore e l’angoscia del nostro tempo mostrandoci come nel 1512 i valori del mondo antico erano interpretati con orgoglio dal mondo cristiano, mentre 500 anni dopo il quadro che ci troviamo ad osservare è totalmente diverso: l’architettura dell’occidente arriva in oriente, non in un bagno di colore ma di sangue.
Di tanto in tanto, il Vittorio personaggio fa capolino provocando non poco divertimento tra il pubblico, ma forse è proprio questo a spezzare quella tensione riflessiva che si crea nella nostra mente, mentre capiamo quanto è immenso il divario tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati. Peggio ancora verso ciò che diventeremo. C’è la bellezza, c’è Dio e c’è poesia nelle parole di questo uomo irrequieto, irascibile e terribilmente vivo che è Vittorio Sgarbi.
Marianna Zito
Foto Angelo Radaelli