“Mi sono giusto allontanato per un attimo” – L’ultimo album di Stefano Vergani
Nei meandri più inesplorati del cantautorato spesso si trovano le perle più preziose, quelle la cui luce brilla con un’intensità inversamente proporzionale alla profondità dell’abisso, nel quale erano state nascoste. La sensazione che prova chi scopre una di queste perle è davvero unica. È come immergersi in una depressione oceanica con una bombola di ossigeno, sentire sopra di sé tutto il peso della realtà, e scovare dietro l’ennesima insenatura un fulgido lucore che, per quanto minuto, lacera il buio e infonde speranza.
Quando mi hanno chiesto di scrivere a proposito di Stefano Vergani, io non lo avevo mai sentito nominare. E quindi, come un cercatore di questo secolo, mi son ritrovato a elemosinare informazioni su Google. Ci sono degli articoli, anche su Billboard. C’è qualche foto che mi ispira simpatia: una nuvola arruffata di capelli di bronzo, sorrisi malcelati sotto i baffi, lo sguardo sempre vagamente ammiccante. Da qualche parte leggo una discografia parziale, e allora vado ad ascoltarmi La musica è un pretesto la sirena una metafora e Chagrin d’amour, i suoi primi lavori. Intrigante, danzereccio quanto basta, a tratti malinconico, altre volte malizioso, schietto di quella spontaneità che in questa società diventa quasi astratta, metafisica. Poi ascolto il suo nuovo disco, “Mi sono giusto allontanato per un attimo”prodotto da Lapilla Records e Ponderosa Records. Già il titolo mi solletica un certo interesse. In copertina c’è lui seduto su una staccionata che dà sull’interno di un cortiletto dove trovano spazio anche una scala, un maglione, un albero e un maiale. Altro che De Chirico. Il comunicato stampa mi conferma la biografia che avevo letto online: brianzolo, classe 1982, miglior cantante emergente al Premio Tenco del 2005, finalista a Musicultura del 2015. Due anni fa, poi, la svolta: abbandona la Brianza e si stabilisce in Sicilia, nella campagna attorno a Noto, dove appunto scrive e incide quest’ultima adunanza di brani sinceri ma anche recitati, squinternati ma anche ragionevoli. Una prima parte esce già a giugno di quest’anno; il disco completo invece viene pubblicato solo il 22 novembre. Un piccolo tour tra Brescia, Milano e Bergamo, che si spera possa avere un seguito un po’ più nazionale.
Vergani è un poeta. Ogni verso di ogni canzone di quest’ultimo disco converge su questa tesi incontestabile. Vergani è un cantore serio, che si finge disimpegnato per raccontare con eguale trasporto le grandi verità e i dettagli, le filosofie e i pragmatismi, le astrazioni e le concretezze. Ogni brano condensa i pensieri più disparati con le divagazioni più improbabili ma comunque sempre in qualche modo coerenti, tanto che, dopo aver ascoltato, bisogna racimolare le percezioni per farsi un’opinione. È come quando un giovane curioso e impreparato si ritrova per caso a disquisire con un anziano saggio ma enigmatico: il giovane soccomberà, e per molto tempo s’interrogherà sul senso di quanto ha recepito. O, ancora meglio, come quando si va a teatro, e un monologhista ci sconvolge la serata parlando del più e del meno, di tutto e di niente. Quando parte la seconda traccia, per esempio, si pensa che Margot sia solo la destinataria di una missiva d’amore come tante, ma poi la stessa diventa il magico schermo attraverso il quale l’autore e i suoi uditori comprendono ben altro della vita: È virtù sapersi accontentare senza infliggere dolore a un innocente, / Ma in fondo chi può dirsi tale? / Credi: c’è del male in ogni angolo di cuore, in ogni eccesso di pudore. / Guarda lì: quel tizio sta pisciando sulla macchina del capo! Psss. È difficile, peraltro, scegliere quale dei tredici pezzi sia il più coinvolgente; l’elogio, piuttosto, va indirizzato alla fluida compagine di riflessioni che scorrono come un torrente che non ha fretta di incontrare il mare ma che neanche teme l’avvenire inevitabile. Pazzesco l’incipit, Siam d’accordo sui poeti, che con sarcasmo e disappunto sottende tutto ciò su cui invece divergiamo, tanto da anelare alla sosta presso un luogo altro: Se non sbaglio quello è un grattacielo, e all’ultimo piano / Si brinda alla mancanza di rumore. Riuscitissime Cercando un posto al sole e Giorni che ho bevuto. Commovente In equilibrio, inno crepuscolare forgiato nella grazia più rara: Dice che il cinema ha chiuso prima del tempo / E sei rimasto in silenzio a guardare. / Dice che il cinema ha chiuso per sempre / E nessuno ha detto cosa, nessuno ha fatto niente. Intermezzo sexy: Passi per un colpo di calore (/ Disabitudine all’amore! / Solitudine al rancore! / Senso di colpa! / Voglia di volare in libertà!). Geniali le discettazioni venate di sano senso pratico che scaturiscono da Leopardi. Divertente e confortante la retorica nata con In confidenza. Finale aperto ma anche conciliante: Musica. Le lodi vanno poi indirizzate verso le splendide polifonie che accompagnano i testi, e un plauso deve giungere infine all’interpretazione vocale, unica in un panorama di simili. Insomma, facciamoci un regalo, e spendiamo del tempo con Vergani, perché ne varrà la pena.
Davide Maria Azzarello