“Mi ero perso il cuore”: l’album solista di Cristiano Godano
“Devo ritrovare me stesso. Devo. E lo devo a me stesso. Non può essere che non mi ritrovi più.”
Cristiano Godano è la voce dei Marlene Kuntz. Colonna portante e sonora di un’intera generazione. Di quelli che come me sono cresciuti nuotando nell’aria in un mondo cattivo cercando una giornata magnifica. “Mi ero perso il cuore” è il suo primo disco da solista, un disco che aspettavo da tempo ma che aveva bisogno del giusto tempo per arrivare. Un tempo strano, fatto di attese mal riposte , di solitudini forzate e lamenti inconsistenti. Un tempo dal quale a forza di lunghi respiri e passi falsi stiamo provando a uscire, e questo lavoro è una mano tesa per chi vuole provare a cambiare veramente la situazione di stallo nella quale ci troviamo. Forse capita sempre così con l’arte quella vera, sembra scritta per te in quel momento preciso quando “non mi sento nessuno e non so come sia stato possibile dare modo di credere che io fossi qualcuno per cui valga la pena la stima concedere” .
Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo suo primo lavoro in solitaria ascesa e volutamente non ho voluto ascoltare troppo prima di averlo tra le mani. Sono della vecchia scuola, a youtube e spotify preferisco ancora l’oggetto fisico. Comprare il disco, supportare l’artista che mi accompagna lungo il tragitto. Il piacere di poter rigirare tra le mani il booklet , studiarmi le foto ( suggestivi gli scatti di Guido Harari, che ci restituiscono un’artista uomo ) leggere i testi, che nel caso di Cristiano Godano meritano sempre un attenzione particolare e perdermi nei ringraziamenti. Così a suo tempo ho ascoltato solo il singolo di apertura “Ti voglio dire” una ballata da dedicare agli amici, alle persone care per portagli un pensiero amorevole con parole affabili e poi “Com’è possibile?” secondo estratto.
“Tempesta sopra di noi, la bestia dentro di noi”.
Ancora una volta Godano stava parlando a me, se solo lo avessi ascoltato con più attenzione. Avrei capito che “la risposta è lassù e soffia nell’aria”. Sono rimasto piacevolmente sorpreso, scoprendo un artista che conoscevo e che al tempo stesso era nuovo. La curiosità era a mille e adesso sono giorni che il disco gira nel mio stereo. Ho quasi paura di consumarlo. Diciamo subito che non ha il suono dei Marlene Kuntz, non è un disco noise, non è arrabbiato. Qualche mese fa Cristiano Godano venne a Napoli per una serata di musica e parole, stava presentando il suo libro e io stavo la in prima linea grazie a una ragazza speciale. Gli chiesi del disco e se in qualche modo Riccardo Tesio e Luca Bergia ( i Marlene Kuntz al completo ) avessero contribuito al suono, se avessero collaborato, ovviamente mi rispose di no. Ora capisco anche il perché di questa risposta. Suona diverso, è un disco intimo, raccolto, delicato e qualche volta sussurrato che ti porta all’ascolto attento, alla concentrazione, alla voglia di una luce soffusa, un bicchiere di vino bianco e uno stereo che non ha bisogno di sparare a tutto volume per arrivare dritto a quel cuore malridotto che ti porti dietro. Sa di praterie americane e campi sterminati, di cose piccole e bar di provincia. Di macchine che passano senza fretta su strade impolverate, di quelle che lasciano dietro di se solo scie di pneumatici e cumuli di polvere e di nuovo silenzio e pace e tranquillità. Pace, una parola, un concetto, che ritrovo tra le liriche di questo lavoro. E in questo viaggio in macchina con Cristiano troviamo pochi amici fidati. Gianni Maroccolo con il suo basso, mai troppo invasivo, sembra accompagnare l’amico facendo sempre un passo indietro ad eccezione fatta per quella perla di “Panico” con la coda di sax e violini di Enrico Gabrielli. Una lunga ed estenuante improvvisazione jazz. Con tutti loro “sono seduto e mi sento in bilico e il mio futuro è una voragine”. Sulla stessa macchina troviamo poi Simone Filippi e Luca A Rossi. Un viaggio in macchina vuole anche delle soste, e lungo la strada Cristiano ha incontrato due splendide voci femminili, Valentina Santini e Alice Frigerio che ritroviamo nella struggente “Ho bisogno di te”. Le voci femminili ci raccontano la favola che tutti noi vorremmo sempre sentici dire in certe occasioni, “io sono qua, domani sai che tornerò, acquietati mio angelo”.
Ho la mia personale sensazione che questo sia un disco nel vero senso della parola, non una raccolta di canzoni. Bisogna ascoltarlo insieme, lasciargli spazio e la dovuta attenzione. Non è di questo tempo che corre troppo veloce dietro a singoli, hit estive e ascolti rapidi e superficiali, o forse è proprio di questo periodo invece, post coronavirus, che magari qualcosa abbiamo capito. Questo disco ha un inizio e una fine. E va ascoltato in religioso silenzio seguendo la scaletta. Un uomo che si stava perdendo, smarrendo il cuore si ritrova pronto a fare nuovi passi perché in fondo “il cuore batte e non si ferma mai e a noi ci tocca sempre andare” anche quando è difficile, quando vorremmo solo sprofondare dentro noi stessi, perché deboli e fragili. In mezzo tutti i mostri della mente, una mente che mente soprattutto a se stessa, ecco perché bisogna ascoltare il cuore, a condizione di non perderlo però . Una guerra continua che non ci lascia mai, che ci accompagna tra pezzi delicati, delusioni e ricordi. Cristiano sembra voler cantare le sfumature della nostra vita, l’amicizia viva, vera e preziosa, quella abbandonata, l’amore, il rapporto padre e figlio e quello ancora più difficile e complicato con se stessi, i proprio demoni, che quelli proprio non ci lasciano mai.
Mi piace pensare che l’artista che stiamo ascoltando ha trovato una sua dimensione personale, mi pare di vedere un uomo sereno che aveva l’urgenza di dire delle cose in quella maniera là, l’unica possibile e ci è riuscito. Una volta affrontati i propri limiti, le proprie debolezze ci lascia con la speranza che “si ricomincia sempre e si va come fiumana grossa e placida, anche le volte che si spaura il cuore”. E allora lui, l’uomo ancor più dell’artista, ha vinto. Non lo so se la sua è una rinascita ma sicuramente è una vincita che durerà nel tempo. Grazie Cristiano perché c’è sempre bisogno di bellezza, soprattutto in questi tempi strani e complicati. Di bellezza e poesia. E speranza che dietro le parole “mi accetterai tutte quelle volte che scoprirai quel po di me scialbo e impoetico”.
Antonio Conte
Fotografia di Michele Piazza
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