“Metodo Srebrenica”: il capolavoro di Ivica Dikic
Definitelo libro, romanzo, reportage, documentario, identificatelo come meglio credete, ma leggetelo. Perché non è essenziale inquadrare in che tipologia di narrazione questo libro debba essere identificato; in queste pagine c’è un lavoro immane, analitico e dettagliato come pochi prima d’ora, che ripercorre minuto per minuto la storia di un genocidio.
Ivica Dikic con “Metodo Srebrenica” (BEE, 2020, pp. 280, euro 17), ha portato a compimento un mastodontico lavoro di ricerca, studio, analisi, mediante l’approfondimento dettagliato di fatti ed elementi storici in gran parte provenienti dal lavoro della Corte Penale Internazionale, il tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aja, nei Paesi Bassi. Ed è proprio leggendolo che è importante perdersi nei luoghi della carneficina che dal 11 al 22 luglio del 1995 si consumò tra Srebrenica, Zepa, Bratunac e Zvornik, in un’area di circa seicento chilometri quadrati.
Quel che accadde in Bosnia in quei giorni andò ben oltre l’immaginazione. A poco meno di un’ora di volo dall’Italia si consumò una strage che porto all’assassinio sistematico a opera di unità dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidate dal generale Ratko Mladic, con l’appoggio del gruppo paramiliatre degli “Scorpioni”, in quella che al momento era stata dichiarata dall’ONU come zona protetta e che si trovava sotto la tutela di un contingente olandese dell’UNPROFOR, di 8372 uomini musulmani bosgnacchi, tra cui vecchi e bambini, i cui corpi furono immediatamente occultati nelle numerose fosse comuni scavate in loco.
C’era una pulizia etnica da portare avanti, senza nemmeno nascondersi troppo davanti agli occhi di un resto del mondo disinteressato, se non addirittura consenziente.
Come afferma l’autore nelle pagine di questo capolavoro, “Questo libro è nato dal tentativo di comprendere l’incomprensibile, di penetrare nel cuore delle tenebre, in modo che la realtà, come la vita ed il carattere del colonnello Beara, si spalanchi fino a mostrare i procedimenti minimi ed elementari davvero concreti di tante persone in carne ed ossa (…). In questo, lo potrete vedere da soli, ho fallito. Nonostante tutto non sono riuscito a trovare una risposta chiara alla domanda: perché?”
Il racconto gira intorno al colonnello Ljubisa Beara, colui a quale era stato assegnato il compito di portare a termine l’opera di pulizia etnica in quella regione della Bosnia prossima al confine serbo, in una Jugoslavia ormai dissolta.
“Ciò che produsse morte nella metà di luglio del 1995 sul territorio di Srebrenica, Bratunac e Zvornik fu un’improvvisata struttura del male, costruita personalmente dal colonnello Beara, e per di più in corso d’opera, per servire allo scopo e per mostrare al generale Mladić e a tutti gli altri di essere capace di organizzare un eccidio di dimensioni inimmaginabili”.
Uccidere oltre ottomila bosgnacchi in pochi giorni non era un compito facile, così come quello di trasportare i prigionieri nei pressi dei luoghi degli eccidi, scavare le fosse comuni, occultare i cadaveri. Ma il colonnello Beara riesce a portare a termine la mattanza avvalendosi dei peggiori uomini a sua disposizione. Tra gli altri il famigerato 10° reparto guastatori, mercenari e criminali comuni, come Marko Boskić, croato, detto il gatto, Franc Kos, sloveno, detto il ‘giallo’, Zijad Zigić, addirittura bosgnacco egli stesso. Requisendo mattonifici, scuole, palestre, fattorie agricole e trasformandoli in mattatoi, Beara si impadronisce del quotidiano dandogli la forma dell’orrore.
Un libro che va custodito e tramandato, un’opera d’arte che non ti fa dormire soprattutto se quei luoghi li hai visti di persona. Ne segui il filo cercando di comprendere la logica disumana di un abominio. Rivivi i villaggi, le città, i luoghi, rivedi i volti segnati delle vedove e delle madri, ripercorri quelle strade a ritroso e, come l’autore, non trovi un perché. Ed è per questo e altro ancora che “Metodo Srebrenica” può essere considerato un capolavoro.
Perché si tratta di luoghi e immagini che bisogna avere il coraggio e la forza di guardare attentamente, in assoluta contemplazione e senso di rispetto, per ricordare e per non dimenticare.
Perché questi sono luoghi dove l’orrore ha regnato insediandosi nelle viscere dei più deboli.
Perché questo libro somiglia esattamente al risveglio della memoria proveniente da luoghi dove il vissuto delle persone esercita un richiamo tanto forte e doloroso quanto la seduzione intellettuale del canto delle sirene.
Salvatore Di Noia