“Merce Funebre” – Il primo disco di Tutti Fenomeni è quello di cui avevamo bisogno, anche se non lo sapevamo
Da qualche anno a questa parte, la scena musicale è stata lievemente sconvolta da una folata sgarzolina di novità che ancora non abbiamo assorbito del tutto. La classificazione di generi e sottogeneri nuovi, o comunque recenti, è davvero molto ampia, e non ce ne occuperemo in questa sede. Di sicuro, però, qualunque compendio di critica musicale post 2000 non può non coinvolgere l’indie e, ancor più, la trap. (con tutto ciò che poi ne deriva). Entrambi difficili da definire, soprattutto perché ci troviamo in una zona franca dove le definizioni, purtroppo o per fortuna, non sono gradite. Come sempre, le proposte spaziano in lungo e in largo, e c’è del bello e del buono ma anche tanta materia dalla quale sorgono inevitabilmente dubbi e scetticismi, che poi talvolta germogliano e diventano dissensi e rifiuti.
Eppure, forse, siamo giunti all’eccezione che riappacificherà i padiglioni auricolari di tutti coloro che vi si appropinqueranno senza alcun velo di pregiudizio a coprire il cervello. Questo snodo nella cultura musicale è un vero e proprio evento, un segno, una pietra miliare in potenza. Si tratta, ovviamente, di Tutti Fenomeni, un’identità che è anche un nomen omen autoimposto e ossimorico: in questo momento storico stiamo tutti passando i nostri quindici minuti sul palco, come diceva Warhol; per un lembo di tempo ci sentiamo unici, fenomenali, degni; e spesso oscuriamo chi invece meriterebbe la ribalta. Romano, classe 1996, all’anagrafe Tutti Fenomeni si chiama Giorgio Quarzo Guarascio e di lui si sa poco, quasi nulla, ma forse è meglio così. I più informati forse ricorderanno che in passato ha lavorato con i Tauro Boys, e alcuni insiders si saranno imbattuti nelle sue acerbissime composizioni come Colazione a Cortina o Modigliani Ultras che, nonostante tutti i difetti evidenti e innegabili, già conservano (celato in bella vista) il seme del genio che è fiorito solo dopo. Il 17 gennaio di quest’anno, infatti, grazie all’intercessione di Niccolò Contessa de I cani, Giorgio ha partorito un’illogica e affascinante creatura che risponde al nome di “Merce Funebre”, dove quel potenziale ancora del tutto inespresso ha finalmente trovato una forma e una giustificazione.
Giorgio non è proprio indie nel senso originale del termine, dato che il suo disco è promosso da Sony, ma dell’estetica cosiddetta indie conserva il meglio. Nel frattempo però diluisce la stessa con una forma rivisitata e corretta della trap, qui reinterpretata secondo logiche diametralmente opposte a quelle di Sfera Ebbasta, Dark Polo Gang, Young Signorino, annessi e connessi. Quel che colpisce di questo disco, in primis, è il frastuono ordinato di idee e suoni che colano e scrosciano nella testa dello spettatore, il quale, se ascolta davvero, volente o nolente diverrà preda di un umore cosmico e inspiegabile, esteso con audacia e puntualità, con dovizia e arguzia, ben oltre i confini dell’accettabile, dell’afferrabile. Peraltro, una volta che ci si allaccia al suo modo di raccontare, diventa lampante quanto il ragazzo abbia analizzato la cultura: conosce e rispetta le declinazioni passate della poesia, ha ascoltato la musica classica, ha compreso il valore sociale delle parole, ha colto il senso della letteratura e dell’arte, sa indagare nel nozionismo storico, sa interpretare, è in grado di rielaborare, limitare, assorbire, intuire e sferzare. Encomiabile, Giorgio lo è già per questa ragione: nell’epoca del velocismo inerziale e dell’ignoranza auto-indotta, mentre alcuni suoi colleghi giocano a essere fenomenali, lui ha scelto di studiare per arrivare alla creazione di un prodotto intellettuale che non solo possa definirsi tale, ma che anzi vada a innescare il pensiero critico nella testa dell’ascoltatore. E quindi ce lo dice subito: basta superficialità! Lotta libera alla banalità! Non voglio più studiare solo dai riassunti […] Voglio incidere solo dischi brutti, così sarò sicuro di piacere a tutti! Voglio infliggerti pene senza senso, per metterti in guardia da questo mondo orrendo! Non ha paura di citare né di copiare, Giorgio, anche spudoratamente: la copertina di Merce Funebre, per esempio, ricorda quella del secondo disco di De Gregori, anche se qua l’agnello è stilizzato, fiero ma defilato, quasi volesse comunque rimanere in ombra rispetto ai grandi maestri del passato. Ma poi c’è molto altro. Tutti Fenomeni chiama a raccolta proprio tutti i fenomeni: così il macabro sillabato dell’intro viene cantato sulla celeberrima Marcia funebre di Chopin, la costruzione sintattica ricorda Battiato, la militanza intellettuale riferisce a De André, si celebra il poeta turco-polacco Nazim Hikmet. E non basta. C’è la rabbia, la frustrazione sociale: …non toccarmi la corona, Anna Bolena! Perché d’altronde, chi può dire di non essersi mai sentito come Caterina d’Aragona? C’è la messa in stato d’accusa per chi potrebbe migliorare il mondo con la cultura, ma preferisce lasciare i libri di Proust accanto al bidet. C’è la polemica verso le istituzioni: l’infinito non l’ha scritto Mogol!, sottolinea Giorgio, glissando sulla domanda che in realtà molti si sono posti: perché lo scorso ottobre il Premio Giacomo Leopardi è stato conferito proprio al monarca Rapetti della Società Italiana degli Autori ed Editori? Undici tracce dissacranti, sensazionalistiche ma non pedanti, amaramente divertenti o emozionanti in modo puberale, talvolta persino ballabili. Con Merce Funebre sembra quasi di vedere i quadri di Ensor che prendono vita e recitano per noi; la testa si riempie di sintetizzatori, vocali trascinate, sassofoni, sospiri, tamburi e flauti che sguazzano con ironia e amarezza rimbalzando da un orecchio all’altro e scintillando di una frivolezza barocca che in realtà nasconde ben altro.
Se volete andare a sentire Tutti Fenomeni dal vivo – e noi lo consigliamo con fermezza – ecco le date dei concerti:
12 marzo – Monk Club, Roma
13 marzo – Officina degli Esordi, Bari
20 marzo – Argo16, Marghera
21 marzo – Lumiere, Pisa
27 marzo – Covo Club, Bologna
3 aprile – Serraglio, Milano
4 aprile – Spazio 211, Torino
Davide Maria Azzarello