“Mentre fuori arrivano i lupi”, un disco che unisce cultura e ambiente – Intervista a Emanuele Barbati
Un artista tarantino torna con un nuovo disco dopo sei anni: si tratta di Emanuele Barbati, che ha pubblicato lo scorso 10 giugno “Mentre fuori arrivano i lupi” (Iuovo di iCompany / Artist First), che contiene undici brani inediti, con la partnership etica di WWF Italia per il progetto “SOS Natura Italia” per la salvaguardia del lupo. Emanuele Barbati ha esordito nel 2013 con il primo album “Sulla stessa via”, seguito, nel 2015, dal secondo lavoro discografico “Sfumature”. Il suo è uno stile cantautorale con influenze elettro-pop e alternative rock. Per saperne di più su “Mentre fuori arrivano i lupi” abbiamo fatto qualche domanda a Emanuele.
Il tuo nuovo disco “Mentre fuori arrivano i lupi” ha visto la luce il 10 giugno e da poco è uscito il videoclip del singolo omonimo: come è nato questa canzone e chi sono per te i lupi, chi o cosa rappresentano?
Quando ho scritto questa canzone mi sono fermato a ripensare i vari rapporti che avevo costruito finora, in modo particolare quelli lavorativi, rendendomi conto che molto spesso siamo circondati da gente con la quale i rapporti sono fittizi. Io mi ero scocciato di intessere rapporti con gente solo perché io potevo tornare utile a loro e viceversa. Ho realizzato che metaforicamente, quando si sta in casa al calduccio spesso si intende che “si sta col cacciatore”, che dice che i lupi ti faranno del male, ma io, invece, ho voluto darmi la possibilità di liberarmi e tornare nel bosco. Con questa canzone e col disco volevo cercare di far crollare uno stereotipo: spesso molte idee che noi riteniamo giuste vengono dai retaggi culturali che ci portiamo dietro. Per esempio, capita ancora spesso che quando un bambino fa il monello gli si dice “ora arriva il lupo cattivo” e io credo che tante frasi come queste restino all’interno della nostra mente ed è uno dei motivi per cui il lupo oggi soffre di più di questa violenza culturale, per questo non riesce ancora ad essere un animale libero di ritornare nel suo habitat e fa ancora fatica a recuperare i suoi spazi nonostante ci siano tanti programmi di reinserimento. Ho notato questo doppio binario, uno culturale e un altro più prettamente di salvaguardia ambientale uniti e li ho uniti nel brano.
Come è nata la partnership con WWF Italia?
Volevo legare questo disco a un progetto etico, importante per me, ma anche con un’organizzazione di rilievo e sono stato molto contento quando WWF Italia ha ben accolto la richiesta di partnership legandolo al lupo.
“Mentre fuori arrivano i lupi” ha anche un videoclip, come hai scelto il bianco e nero?
In realtà non era previsto un videoclip, ma siccome è uno dei brani a cui sono più affezionato, volevo che avesse un racconto anche a livello visivo, per cui abbiamo optato per questa scelta un po’ estrema, di bianco e nero senza scale di grigi, che ho preso ispirandomi alla scena punk rock americana che spesso ha usato questo tipo di contrasto all’interno di videoclip.
Questo disco arriva sei anni dopo “Sfumature”, quando hai iniziato a scriverlo e in quanto tempo l’hai ultimato?
Il fatto che sia uscito dopo vari anni dall’ultimo non è stata una scelta di lavorazione, ma una rivolta nei confronti del nuovo approccio alla discografia, in particolare di quella che sta spingendo lo streaming, perché spesso gli artisti fanno uscire un serie di singoli con tempistica ristretta e questo provoca un intasamento enorme ogni settimana. Credo che la ricerca spasmodica di un singolo che funzioni ogni due mesi non può essere considerata artisticamente una scelta opportuna: a meno che un artista non si trovi in uno stato di grazia o sia Paul McCartney difficilmente farà uscire una hit ogni due mesi. Credo che ci sia bisogno di più tempo per scrivere delle canzoni che raccontino l’artista e trovino la loro strada. Far uscire un disco in questo momento per me è stata una sfida personale, le canzoni non devono per forza essere singoli radiofonici e io devo avere la voglia di raccontare delle cose attraverso le canzoni senza dover piacere sempre e comunque.
C’è un brano del disco a cui ti senti particolarmente legato? Quale brano hai scritto per primo e quale per ultimo?
Tutti i brani, scritti in momenti diversi negli ultimi due anni, hanno per me un senso e un filo conduttore, raccontano storie e situazioni legate tra loro. Il primo brano che ho scritto è l’ultimo della tracklist, “Un’altra volta”, invece “Aprile dell’anima mia” è l’ultimo brano che ho composto subito prima di chiudere il master del disco, tra novembre e dicembre del 2020 ed è anche quello per cui sento ancora la pelle d’oca insieme a “Mentre fuori arrivano i lupi”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Avrei voluto fare un tour estivo, ma ho optato per un tour autunnale. A settembre uscirà il singolo “Il ricordo dell’estate”, l’ultimo passo della promozione di questo disco, perché una volta finito il tour la mia intenzione è di iniziare a lavorare a qualcosa di nuovo da far uscire già l’anno prossimo.
Il brano “Chi manda le onde” è stato ispirato al libro di Fabio Genovesi, quanto sei ispirato dalla letteratura?
I libri hanno su di me un’influenza maggiore rispetto ai dischi. Ascolto i dischi degli altri per trovare ispirazioni sonore, ma quando decido di rimettermi a scrivere, subito prima leggo molto perché trovo sempre frasi stimolanti. Di solito mi colpisce molto la genialità delle frasi semplici. Sono appassionato di letteratura americana e fino a poco tempo fa avevo letto molto poco degli autori italiani, se non i grandi del Novecento. Poi mi hanno regalato il libro di Fabio Genovesi, bellissimo (faremo una cosa insieme in Puglia ad agosto): mi è piaciuto così tanto che ho composto il brano collegandolo alla storia.
Quali sono gli autori americani che ami di più?
Kerouac, Salinger, ma anche i contemporanei, come Paul Auster, che riprendono la tradizione dei racconti di viaggio, dell’America che non racconta il sogno americano, ma la sua periferia turbolenta. Consiglio un libro di uno scrittore americano poco conosciuto e scomparso prematuramente: “Una banda di idioti” di John Kennedy Toole.
Per le collaborazioni musicali invece, con chi vorresti lavorare?
Fosse per me collaborerei un po’ con tutti. Ho avuto la fortuna di stare un po’ di tempo negli Stati Uniti e ho visto come vengono approntate le produzioni americane. Mi piace molto che gli artisti riescano a mettersi insieme a fare musica anche con generi molto diversi tra loro. Questa cosa in Italia manca molto, ma credo che l’unità artistica sia una grandissima cosa, avrei tantissimi nomi con cui mi piacerebbe collaborare ed è una delle cose a cui sto lavorando per i prossimi brani, sto cercando di individuare con chi sarà fattibile fare i nuovi featuring.
Roberta Usardi
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