Melodiche ire al Carignano: “Servo di scena”, di Guglielmo Ferro
Prosegue la stagione del Teatro Stabile di Torino. Al Carignano, dal 15 al 27 novembre, è stato di turno Servo di scena, dramma comico del ’79 scritto da Ronald Harwood, che fra le altre cose ha sceneggiato anche Il pianista e La ragazza con la pistola. Quinto lavoro teatrale ma primo vero successo: quattro anni dopo Peter Yates ne ricava un film. La trama è presto detta: gennaio 1942, l’anziano capocomico Sir dovrebbe entrare in scena ma vive una crisi nevrotica/esistenziale che Milady, prima attrice nonché sua moglie, tenta di risolvere con l’ausilio di Norman, il servo di scena, l’assistente, il lacchè. Il confidente, l’amico? A volte sembrano Sherlock e Watson, più che altro però ricordano Montgomery Burns e Waylon Smithers. Sir, fissato con Shakespeare, ormai confonde Re Lear con Otello, Amleto con Macbeth, il quale peraltro non andrebbe nominato perché si dice porti male. E poi si lamenta di qualunque cosa: una delle querimonie che ritorna spesso riguarda la qualità della compagnia, che a causa della guerra ora annovera solo più vecchi, invalidi e omosessuali. Non sta bene. È la sua ultima recita: lui non lo sa ma lo spettatore lo percepisce.
Il testo, anche quando lo si ascolta in altre lingue, è inglesissimo: canovacci recitativi senza tempo, contenuti ordinati nonostante la partenza in medias res. Lo studio della parola e del gesto surclassano l’estetica. Per animarlo, tre professionisti: Maurizio Micheli (il servo), Geppy Gleijeses (il capocomico) e Lucia Poli (la moglie). Micheli è scaltro, aguzzo, vive di tempi comici e inflessioni. Gleijeses è caricaturale, grottesco, bravo. Poli è elegante, la sua Milady una diva esausta, drammatica. Con loro anche Dacia D’Acunto, Teo Guarini, Roberta Lucca, Antonio Sarasso. La regia è di Guglielmo Ferro, che aveva diretto il padre Turi sempre in Servo di scena e che in realtà sembrava voler lasciare emergere direttamente i caratteri dei personaggi senza costruirvi attorno uno specifico impianto di coordinamento. Anche la scena è di Ferro, e a prescindere dalle opinioni rappresenta un grande esempio di estetica del teatro nel teatro: su una pedana rialzata si vedono le quinte, più in basso il palco. In mezzo, nessun elemento di separazione: una metafora riuscita. I costumi sono invece di Chiara Donato, la quale ha optato per delle divise calzanti, plausibili, soprattutto con Micheli e Poli. Alle luci, Luigi Ascione.
Nato allo Stabile di Catania, questo Servo di scena è un prodotto di una certa attrattiva: curato, vero, vivo. Il punto di forza è sicuramente il trio, dove ognuno ribatte sull’altro in maniera quasi melodica. L’ira c’è ma in qualche modo risulta armoniosa. Come fosse inevitabile. D’altronde sullo sfondo rimane sempre la guerra, le sirene, le bombe: come possono i capricci di un folle importare qualcosa? Importano, e non importano affatto.
Davide Maria Azzarello