Mascaró alias Joselito Bembé, alias la Vita
“Mascaró” (Exorma, pp. 356, euro 16.50, traduzione di Marino Magliani) è il romanzo che è valso il Premio Casa de las Américas (Cuba) al suo autore, Haroldo Conti, la cui triste sorte è raccontata da Gabriel Garcia Marquez nella prefazione. E proprio dopo aver letto la prefazione, ma anche il prologo dell’autore, non si può non empatizzare con Haroldo Conti e con la storia che ci racconta, creando tra l’altro immagini e suggestioni che molto ricordano lo stesso Marquez: nelle descrizioni a volte rocambolesche e divertenti di fatti e persone, nei giochi di parole, nell’ironia.
Oreste e il Principe si ritrovano sulla stessa imbarcazione che da Arenales va a Palmares, un’isola facile da raggiungere con un paio di giorni di viaggio che si allungheranno però tra onde inquiete, venti, tempeste e le arti varie esibite dai passeggeri e perfino dal cuoco dell’equipaggio. E quando finalmente si approda a Palmares, inizia il viaggio nel viaggio, quello più lungo, il più bello, che porta a trovare il proprio posto nel mondo. Strada facendo nasce e si allarga il “Grande Circo dell’Arca”, il cui fondatore è il Principe insieme a Oreste, ma che finisce con l’accogliere una grande varietà di persone-personaggi, ognuno col proprio talento, represso nel tempo, affinato con gli anni. Il carrozzone del circo si trova ad attraversare tanti paesi, grandi, piccoli, fatti di sola sabbia o poco più, fatti di accoglienza, di bei guadagni e di giorni meno fortunati. E così come il circo si crea lungo la strada, è lungo la strada che pian piano perde i pezzi. Ma è il tipo di perdita che aggiusta tutto, perché si capisce il proprio ruolo, il proprio senso e si è pronti ad andare da sé. Non senza prima aver portato scompiglio nei vari posti attraversati:
“Ma si dà il caso che, quando passavate voi per qualunque paese del cazzo, la gente cominciava a cambiare (…) tramavano ogni genere di folli progetti (…) Cominciarono perfino a leggere e scrivere, per migliorarsi (…) a fare guerriglia (…) certi quadri viventi che imitavano i monumenti alla Libertà e al Progresso”.
La libertà di scrivere e vivere della propria arte. Il progresso di vedere, se non accettate, quantomeno rispettate le proprie idee, il proprio essere. Libertà e progresso, entrambi negati a Conti, sequestrato e ucciso a seguito del Golpe militare in Argentina.
Con Mascaró, oltre che con la sua stessa vita, Haroldo Conti ci dà una grande lezione di forza, coerenza, affermazione di sé. Definirsi attraverso la propria arte, qualunque essa sia, attraverso il movimento inteso come forza che continuamente ti spinge in avanti, lungo la strada appunto, finché non trovi un posto, un pezzo che pare faccia per te. E chi è Mascaró in tutto questo? Un eroe e pistolero che lotta, appare e scompare, che sembra un personaggio secondario, e invece rappresenta l’ideale che tutto trascina.
“Tutto finisce. La vita è una nave più o meno bella. Perché tenerla all’ancora? Lasciamola andare. Perché lo dico? Perché il meglio della vita lo buttiamo via cercando sicurezze. Porti, ripari e ancoraggi sicuri. È un accadere, puro e semplice, questo dico. Vero, signor Mascaró? Meglio passar la vita bevendoci su, con leggerezza. È tutto un simposio”.
Laura Franchi