Mary Shelley al teatro Kismet di Bari con lo spettacolo dei Motus Frankenstein (a love story)
Luci soffuse da un intenso colore blu e grandi sipari di plastica trasparente avvolgono con grande fatica e poca lucidità una strana creatura. In scena solo uno sgabello, dei pastelli e un microfono. Quella che si percepisce e si respira è un’atmosfera oscillante, in bilico tra realtà e fantasia, tra illusione e tangibilità, una vita sorretta da continue domande e contraddizioni infinite che si aggirano nella vita dei i tre personaggi. La certa rassegnazione della loro mostruosità costringe il trio a vivere in un non-luogo angusto e scomodo, fuori da ogni legge di spazio e tempo.
Le creature, solitudini autonome che gridando a gran voce di essere ascoltate, viste e percepite nella loro mostruosità, sono interpretate con grande professionalità dall’attrice e regista greca Alexia Sarantopoulou nel ruolo della creatrice, il creatore chiamato Viktor è stato portato in scena dall’attrice Silvia Calderoni, e infine la creatura interpretata dall’attore Enrico Casagrande, fondatore insieme a Daniela Nicolò della compagnia Motus, nonché registi dello spettacolo Frankenstein (a love story).
Un corpo e una voce maschile offerta al femminile, a quella creatura che incarna le differenti difficoltà e contraddizioni incontrate dalla scrittrice inglese Mary Shelley durante la stesura di uno dei romanzi gotici più riusciti dell’Ottocento. La scrittrice inglese appena diciannovenne assistette, durante l’estate del 1816, all’eruzione del vulcano Tambora, il quale oscurò per molto tempo il Sole e causò la drastica diminuzione delle temperature. In questo clima cosi angusto e tetro prese forma uno dei romanzi gotici più conosciuti della letteratura anglofona: Frankenstein, da cui la drammaturga e ricercatrice Ilenia Caleo cerca di restituirci attraverso le parole quella sensazione di estraniamento e di percezione dell’alterità e della sua estrema solitudine.
Lo spettacolo, intitolato dunque come il romanzo Frankenstein (a love story), arriva a toccare con estrema maestria e poesia le corde dell’essere in quanto tale, con tutte le sue bassezze e brutture. In uno scenario estremamente straniante, in quel un luogo ontologico, il creatore e la creatrice insieme alla creatura manifestano la loro fisicità assorbendo un’inedita consistenza che conferisce loro un flebile afflato di vita.
Lucia Amoruso