Maroccolo – Aiazzi: La Ballata di Mephisto sulle tentazioni del Faust
Come quando pianti un seme e lo lasci nel terreno. Magari dopo una grande festa, con gli amici di sempre, quelli del gruppo di una vita. Dopo una performance a suon di musica, dopo una MephistoFesta. Te ne vai in giro per il mondo, cresci e torni indietro un attimo, in quel giardino dove sai, che nel frattempo è cresciuta una pianta rigogliosa. Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi, rispettivamente bassista e tastiera della prima formazione dei Litfiba, a quarant’anni dalla nascita del gruppo, dopo trentanove anni da quella festa che non è esistita, da un’esibizione mai fatta e da una musica mai suonata tornano sul luogo del misfatto, si guardano indietro e solo per un attimo immaginano questo brano che qualcuno di noi nel tempo ha ascoltato, E.F.S. 44, e lo ricompongono. Dilatano il pezzo, rendendolo più lento dell’originale, lo spazio diventa infinito, le intenzioni si moltiplicano e il brano diventa un varco nel mondo del Faust dove la voce di Giancarlo Cauteruccio, con fare luciferino ci racconta il sonno del protagonista e noi possiamo solo fare silenzio fino al suo prossimo risveglio.
Come quando prendiamo un sogno, un desiderio, un ricordo che avevamo e lo plasmiamo nuovamente, gli cambiano un verso, una strofa intera, lo spostiamo in un altro luogo con personaggi diversi. Diamo a quel seme piantato con tanto amore e cura nuova linfa vitale. Quel ricordo non sono più gli anni 80, quell’immagine non è più ieri. È già oggi, è questi tempi strani. Il Marchese Aiazzi e Marok hanno regalato a noi tutti un nuovo viaggio lisergico. Da una piantina hanno tirato fuori un bosco oscuro a tratti luminoso dove perdersi e ritrovarsi alla fine del cammino cercando la Luce, ultima parola del disco e quella che da sola ci può salvare.
Da questo piccolo germoglio hanno creato una colonna sonora che non esiste, un film che non si vede, un concept album, otto tracce che raccontano la storia del dottor Faust e di Mephisto, viaggiatori del mondo in un mondo che non è poi così lontano dal nostro. Come i due esploratori, scopritori delle più svariate passioni umane, anche noi siamo sempre tra luce e oscurità, a cercare una via di salvezza in bilico tra il bene e il male, tra la disperazione più profonda e la frenesia totale. “Mephisto Ballad”, questo è il titolo del disco e del brano che ha fatto da apripista, prima composizione di questo esaltante progetto.
Come pittori gestuali i due musicisti creano atmosfere dai forti contrasti, le uniche possibili per poter ammirare le nostre ombre, che ci rendono viivi, concreti e reali, che permettono di perderci in una visione. La vita di ognuno di noi dovrebbe tendere a quello che non c’è ancora, alla realizzazione dei nostri sogni e desideri più reconditi, all’utopia della perfezione, l’uomo che tende all’ideale è un uomo romantico che viene direttamente da quello Sturm und Drang che permea tutto il disco. Lo Streben, che dà il nome alla seconda traccia, ricca di bassi e synth analogici, sequenze anni 80 e distorsioni, rappresenta proprio quella ricerca della verità dietro le apparenze.
Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi chiedono la nostra fiducia, vogliono che ci lasciamo andare, ci tentano sulla via, ai loro occhi siamo Faust, diventiamo Giobbe. Come Satana e Mephisto i due musicisti ci prendono per mano, ci portano nel flusso con loro, iniziamo così un lungo viaggio tra le parole liberamente ispirate all’opera di Goethe. Cantilene che portano lontano, oltre l’atmosfera di quegli anni, tra le nostre strade deserte di questi giorni , di quest’ultimo anno. Schiavi e servitori dei nostri diavoli personali affrontiamo una battaglia che ci porterà a scegliere Margherita accompagnati da una lunga cavalcata musicale fatta di mellotron, mandolini, elettronica e loop ritmici verso una fine, das Ende, che è al tempo stesso anche rinascita. Ci troveremo a ballare con fare suadente a tavola con la morte, una danza macabra come una partita a scacchi che sembra non finire mai. Resteremo in bilico, die Laster, tra vizi e virtù cercando una via di uscita senza poter veramente scegliere. Come uno scorpione che soccombe alla sua natura, arriveremo alla fine del lungo viaggio scoprendoci in uno specchio immaginario, guardando il nostro doppio, il lato oscuro della forza che portiamo dentro da sempre, la voglia comunque di quella parte malvagia che può fare fuori parti di voi con facilità. Saremo parte delle tenebre, diventeremo tenebra che permette di guardare la luce, una cosa sola, tenebra che sgrava la luce, Doppelgänger, ma senza una vera possibilità di salvezza. Non siamo di certo il Faust, richiamato in cielo e salvato per la sua aspirazione all’infinito. C’è un solo modo per provare a salvarci, a non sottostare, a tendere alla perfezione, riprendere le cuffie dopo avere ascoltato “Mephisto Ballad” e ricominciare, cinquantaquattro minuti di viaggio emozionale alla scoperta della parte più profonda e nascosta di noi stessi, ancora e ancora. Solo così potremmo pensare di salvarci, magari tra le braccia di Elena, ancora una volta, giovani e vogliosi. Cinquantaquattro minuti per salire nell’alto dei cieli, otto fermate, un unico viaggio: “Mephisto Ballad”.
Antonio Conte
Fotografia di Cesare Dagliana
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