MARITI E MOGLI – La Guerritore al Teatro Menotti di Spoleto
Venerdì 24 novembre al Teatro Giancarlo Menotti di Spoleto, Monica Guerritore ha portato in scena MARITI E MOGLI, il riadattamento teatrale dell’ omonimo film di Woody Allen. Nel cast, oltre alla stessa Monica Guerritore (Sally), troviamo Francesca Reggiani (Judy) e i loro mariti Ferdinando Maddaloni (Jack) e Cristian Giammarini (Gabe); presenti anche Enzo Curcurù, (Michael) Lucilla Mininno (Sam) e Malvina Ruggiano (Rain).
Ambientato in una sala da ballo, omaggio al Cafè Muller di Pina Bausch, otto personaggi, costretti per una notte intera ad una reclusione forzata per via di un nubifragio che non permette loro di muoversi, dialogano con il pubblico svelando il loro mondo interiore, con il sottofondo di Louis Armstrong ed Etta James. L’annuncio del divorzio di Jack e Sally alla loro coppia di amici Judy e Gabe fa emergere le ambiguità, i vizi e le bassezze morali che i personaggi tentano di nascondere, in questa seduta psicoanalitica collettiva, che può essere considerata un manifesto di quella che è la nostra natura di uomini. Così Jack s’invaghisce di Sam, la svampita ballerina di burlesque, che non sarà come Simone de Beauvoir, ma risulta leggera e divertente non certo come quel cadavere della moglie Sally, la quale per ripicca va con il giovane Michael, che dopo anni le fa provare un orgasmo. Gabe invece ha una cotta per la sua giovane studentessa Rain, piena di romanticismo e intuizioni, che ha coltivato una serie di relazioni fallimentari con uomini attempati e Judy, che non si sente mai all’altezza del marito, si è innamorata di Michael.
Gli attori con le loro confessioni vogliono accattivarsi la comprensione e la compassione del pubblico, che assiste divertito alla rappresentazione della commedia umana. Le perversioni psicologiche, il tempo che passa, il cambiamento, la crisi di mezza età, le menzogne, l’ipocrisia evidenziano quello che Allen stesso definisce “un girotondo di piccole anime intrappolate nell’insoddisfazione cronica di una banale vita borghese”. Tante le citazioni tra Shelley, Bergman, Strindberg, Shakespeare e Jung, ma quella di Rain, che afferma che la vita non imita l’ arte, ma la cattiva televisione e quella di Sally, che per decretare la fine del suo matrimonio cita la sua interpretazione della seconda legge della termodinamica “prima o poi tutto si muta in merda”, rappresentano il senso della commedia: non aspettiamoci troppo dalla vita, da noi stessi e dagli altri.
Forse l’amore è solo un mito di cui ci siamo nutriti, un’immagine, un simbolo a cui siamo aggrappati, ma la dolce intimità della scena finale testimonia ampiamente il bisogno di una compagnia nell’incerto cammino dell’esistenza.
Michela Bruschini