Mariangela Gualtieri interpreta le sue poesie nei giardini di Venaria
Venerdì 23 e sabato 24 luglio, ore 20. Manca più di un’ora al crepuscolo, ma lei è già lì, seduta sull’acqua. Dà le spalle al pubblico. Gli occhi, forse socchiusi, puntano verso l’allea alberata che riporta alla Reggia. Porta un abito di un azzurro squillante, lungo appena sotto il ginocchio: gonna vagamente vaporosa, corpetto aderente con la manica a tre quarti. Capelli immancabilmente legati, stretti, austeri. Si alza, si gira; non è molto alta: ricorda una fata dei boschi, con quei sandali sottili sottili, o un anziano elfo saggio. L’espressione è ovviamente indecifrabile: sorride, ed è seria. Si avvicina al microfono al centro della piattaforma riflettente: sembra davvero che cammini sull’acqua, che peraltro la circonda, fungendo anche da scenografia estesa lungo tutto il canale navigabile che riporta ai giardini. È al centro dei resti del Tempio di Diana, culmine della passeggiata seicentesca, poi abbattuto dall’architetto Michelangelo Garove, che lavorò con Juvarra. Siamo chiaramente a Venaria Reale, in un luogo quasi magico. Alla fine del rigagnolo artificiale che divide in due il viale alberato vi è una vasca interrata e pietrosa: quattrocento anni fa c’era una statua della dea della caccia circondata da otto ninfe; oggi Valter Malosti vi ha installato una banchina romboidale, simmetrica, che riverbera il cielo. Un palco. E tutt’attorno, sull’erba che scoscende verso il grande bacile, tante poltrone bianche (distanziate) ricreano un piccolo, raccolto teatro affacciato sul parco, che si protende in ogni direzione. E la donna sull’acqua è la sola, l’unica e inimitabile Mariangela Gualtieri: la poetessa concreta. Nativa di Cesena, cofondatrice (con Cesare Ronconi) del Teatro della Valdoca, strenua paladina del lirismo pragmatico. Non si dice mai l’età di una donna (o forse dovremmo cominciare?), ma lei ha questo volto ideale, che travalica qualunque anagrafe, e una presenza a sé stessa rara fra noi ventenni. Quando poi attacca a parlare, complice la quiete dell’eden venariese, rivela una voce così soave, quasi fantasmatica: pare che sia il vento, a declamare, sussurrando fra gli steli d’erba. Dizione impeccabile, oltre l’attorale. Mai un inciampo. Pause perfette. Padronanza del tono e del colore vocale: straordinaria. Mai noiosa, mai banale; mantiene costante un clima ipnotico, rimanendo tuttavia calata in una semplicità lessicale e sintattica che quasi sconvolge. Mai prosaica, né ermetica, né metafisica. Realista d’un realismo elegiaco, che commuove, che trafigge sì, ma delicatamente. È tenue, eppure così eloquente, senza mai scadere nella reticenza. Recita i suoi testi, editi e inediti: talvolta scorre velocemente gli occhi su un libretto bianco che porta appeso in vita con un nastro rosso, poi alza lo sguardo e decolla. Anzi, fluttua fra le frasi, rimanendo pur sempre ancorata ad un verismo meravigliosamente inquietante che comunque non la appesantisce, e che non evolve mai nel cinismo di tanti suoi colleghi. È un equilibrio sconvolgente, affascinante, magniloquente nella sua ineguagliabile leggiadria. Si rincorrono lemmi come pane, pioggia, luce, nome, voce, cielo, mani, corpo, acqua, canto, zampe, schiena, natura, casa, terra, colore, attesa, fuoco, cuore, tosse, carne. Affronta l’umano, il determinato, l’esperibile, rendendo tangibile persino l’astratto. Racconta le fasi della vita su questo pianeta, da quando eravamo monocellulari in poi. Indaga sui nomi delle cose, sulle parole, sui significati, con precisione geometrica. Sembra di stare su un piano cartesiano, dove non serve porsi delle domande perché lei, nel punto O di origine, sta già snocciolando tutte le risposte che assicurano la serenità. Si ha l’impressione, per un attimo lungo un’ora, di vivere in una crepa luminosa dello spaziotempo dove le cose esistono per una ragione che viene spiegata con parole semplici, postfilosofiche. Per un momento, è come essere al di fuori del buio, oltre le paure. Svanisce il dubbio. Per chi non ha mai letto i suoi testi, insomma, si è trattato di un’esperienza formidabile. Ma la commozione è stata duplice, se non di più, per chi già conosceva le sue poesie e le ha riscoperte proprio attraverso la voce di chi le ha pensate, partorite e cesellate. Il pubblico, incantato, ha applaudito ininterrottamente per dieci minuti; poi alcuni si sono attardati a chiacchierare con lei, con Mariangela, per ringraziarla e per tentare di captare l’individuo dentro l’artista: è emersa così una persona umile eppure autorevole, curiosa, gentile. Affabile.
Lo spettacolo, intitolato Da nome a nome, faceva parte di Metamorfosi, la stagione estiva della Venaria Reale gestita essenzialmente dal Teatro Piemonte Europa (che solitamente risiede all’Astra di Torino). Il cartellone, inaugurato il 2 luglio, terminerà martedì 3 agosto. Nei prossimi giorni, Stefano Massini e Roberto Latini.
Davide Maria Azzarello