mareAmare, il viaggio interiore del cantautore Nicolò Piccinni
Nicolò Piccinni torna con “mareAmare”, il suo terzo album in studio; un’opera multimediale che è un disco, un libro di racconti e illustrazioni, edito da Morsi Editore, e una raccolta di video prodotti dallo studio cinematografico Fuoricampo, tutti accomunati dal tema della dimensione virtuale. L’album è un viaggio interiore che racconta la perdita e la riscoperta di sé nelle dimensioni virtuali, da internet all’amore, dal sogno alla follia. Dodici canzoni scritte dal cantautore Piccinni, prodotte e arrangiate insieme alla band Gli Internauti, divise in due lati, come in uno specchio: superficie e profondità.
Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare la genesi del nuovo progetto.
“mareAmare” è un’opera molto complessa e stratificata, che unisce musica, racconti, illustrazioni e video. Come è nata l’idea di creare un progetto così multidimensionale?
Ovviamente è tutto merito della disgraziata e meravigliosa condizione dell’essere un artista indipendente! I tempi si allungano inevitabilmente, vieni preso dalla noia e ti trovi a fare e disfare. Tutto è iniziato dalle canzoni che ho scritto e assemblato attorno al 2017 e il 2018, arrangiandole con la mia band Gli Internauti. Poi dalle canzoni mi sono accorto che spuntavano dei fili che non avevo notato, ho iniziato a tirare quei fili e sono venuti fuori i racconti. Per quanto riguarda la parte video, ero stufo di immaginare dei videoclip in senso canonico, quindi lavorando con il regista Bruno Ugioli è nata l’idea di creare una collezione di frammenti visivi che raccontassero la canzoni da un punto di vista particolare, con il testo al centro: cose anche abbastanza semplici, senza la pretesa del videoclip classico a tutti i costi.
Il titolo dell’album, mareAmare, unisce due concetti molto potenti: il mare e l’amore. Come si collegano questi due temi nel contesto dell’album?
La combinazione di queste due parole è esattamente la chiave dell’album. Ma se svelassi questo legame rovinerei l’immaginazione a tutte e tutti! Il punto in realtà è che ogni persona poi può trovarci il suo legame, il suo collegamento. Per me per esempio è molto personale, ha a che fare con un trauma di quando ero piccolo e stavo per affogare. Ma la mia esperienza è solo una scusa per inventare storie e scatenare le fantasie degli altri. Certo il mare è da intendere anche come mare digitale, come internet. Quindi un altro modo di vedere il legame potrebbe essere unire il concetto di amore con il concetto di internet, riassumendolo in questa frase: “La profondità dell’amore ai tempi e negli spazi del mare digitale”. Forse non ho risposto pienamente, ma almeno ho gettato degli ami.
L’album esplora molto la dimensione virtuale, dall’internet all’amore, passando per la follia e i sogni. Qual è la tua visione riguardo al ruolo che la tecnologia gioca nella nostra vita emotiva e interpersonale?
Un grande aiuto e un grande impedimento. Se ci penso ho amici e amiche che hanno trovato la propria anima gemella grazie alla dimensione digitale. Altre coppie, invece, scoppiate a causa della stessa dimensione. Per semplificare si può dire che è uno strumento, non è cattivo né buono di per sè, dipende da come lo usiamo. Sicuramente la società ha preso una strada precisa che promuove l’isolamento, l’impoverimento delle relazioni, il consumo sfrenato a discapito del resto. Ma c’è sempre spazio per il pensiero, quindi per la condivisione e infine per l’unione tra noi esseri umani. La tecnologia usata nel modo giusto, in questo senso, può aiutarci.
Nel brano “Internauta” parli di un confronto tra il sé concreto e quello virtuale. Credi che oggi ci stiamo perdendo in queste due dimensioni o c’è una possibilità di armonia tra di esse?
Ci siamo già persi nel virtuale di internet, in un certo senso ci siamo immersi senza accorgercene. La maggior parte di noi ha una propria identità digitale, che non è semplicemente avere un profilo sui social, degli account, delle password, degli abbonamenti o quant’altro. Significa proprio che abbiamo un doppio digitale, che abbiamo una versione di noi stessi virtuale, un disegno preciso di chi siamo e di chi vorremmo essere, dei nostri legami, delle nostre destinazioni, delle nostre prigioni, delle nostre malattie, dei nostri gusti sessuali, delle nostre intolleranze alimentari e musicali. É tutto nelle ricerche che facciamo su internet, nei profili che seguiamo sui social, negli acquisti che facciamo. Le aziende tracciano il nostro profilo digitale e ci creano un mare attorno, con porti sicuri e tratte immense e inesauribili in cui farci navigare. A volte ci intossichiamo, perchè si tratta di dipendenza. Dimentichiamo che quel nostro “doppio” è solo un pezzo di noi, è solo una parte, non è il tutto. Che la nostra versione “concreta” può anche andare altrove, può anche desiderare cose inaspettate, può non voler acquistare o aderire al sistema a tutti i costi. L’armonia tra concreto e digitale è certamente possibile, ma non è scontata, soprattutto se non ne siamo pienamente coscienti.
L’album contiene diversi featuring con artisti di diverse provenienze. Come scegli gli ospiti per i tuoi brani? Che tipo di alchimia cerchi di creare con loro?
Può sembrare banale, ma ho scelto in base alle canzoni, all’atmosfera sonora. Ogni ospite, con il proprio percorso, le proprie esperienze, ha portato vibrazioni uniche nella canzoni. Si può dire che ogni ospite ha il suo modo di essere suono, e quel suono ha contribuito a definire l’atmosfera sonora della canzone. Di solito infatti lascio molta libertà di interpretazione, proprio perchè se ho scelto quella persona so che porterà qualcosa di unico, qualcosa che solo lei può.
Nei video-lirici, i testi delle canzoni vengono combinati con immagini evocative. Come nasce il concetto di videolirico e che ruolo gioca l’immagine nel rafforzare il messaggio emotivo della musica?
Questa volta volevo dare un senso diverso alla narrazione per immagini che “si deve fare” quando pubblichi un album o un singolo. Insieme a Bruno Ugioli, regista con cui collaboro ormai da molti anni, abbiamo immaginato una sorta di lyric video che però avesse un punto di vista particolare. Un video in cui emergesse il concetto di “soggettività poetica”, che ha in sé originariamente la parola “lirico”. Così è nato il “videolirico”, cioè un racconto per immagini narrato da una prospettiva inaspettata. Il videolirico della canzone “Sottacqua”, per esempio, è il punto vista di un riflesso o dell’acqua stessa, all’interno di una boccia di vetro, a seconda delle interpretazioni. In “Internauta” invece è il punto di vista di uno smartphone durante un concerto. O ancora più subdolamente di uno spettatore a casa che guarda il punto di vista di uno spettatore che è a un concerto dal vivo. In questo senso l’immagine non è una traduzione letterale del testo della canzone, per questo c’è già il testo in sovraimpressione: l’immagine è una traduzione del messaggio emotivo della canzone.
In un mondo sempre più connesso e virtuale, dove pensi che stia andando la musica e l’arte in generale? Qual è, secondo te, il ruolo dell’artista in questa realtà così interconnessa?
Ci sono persone che scrivono tesi di laurea, libri, fanno conferenze su questo argomento, che è molto delicato e complesso, quindi proverò a dare una risposta sintetica. De Andrè diceva che l’artista dovrebbe essere una sorta di anticorpo che la società produce contro il potere. Concetto sempre valido, che nel Novecento ha avuto la sua fioritura maggiore, ma che ora è ancora più soffocato, represso, immobilizzato. Siamo tornati a una fase di chiusura, di impoverimento delle opportunità di espressione. Se prima del secondo dopoguerra era difficile arrivare a contenuti artistici perchè la gente comune era tagliata fuori per l’assenza di diffusione e coinvolgimento, adesso con internet il problema è opposto: c’è un sovraffollamento di informazioni, chiunque può pubblicare e condividere i propri contenuti artistici. C’è talmente tanta scelta, tante cose da sentire che sentiremo e fruiremo sempre della cosa più vicina e comoda. Soprattutto fruiremo di quella più sponsorizzata da chi detiene il potere e che quindi, alla fine dei conti, sceglie. Quindi penso che l’unica arte autentica che possa esistere al momento sia l’arte popolare. Che sia la canzone clandestina nel locale con la serranda semi abbassata, la performance teatrale in una stazione della metro o che sia il graffito sul muro col filo spinato appena tirato sù. Il resto è materia preconfezionata pensata per il consumo ad abbonamento mensile. Con un sacco di interruzioni pubblicitarie, se sei povero.
Guardando al futuro, cosa speri che il tuo pubblico possa portarsi a casa dopo aver vissuto l’esperienza di mareAmare?
Che abbia vissuto qualcosa di diverso. Spero che l’esperienza abbia emozionato. Cioè quando una persona mi scrive per dirmi che dopo aver ascoltato, letto o guardato mareAmare si è emozionata, non posso chiedere di più. Perchè l’emozione a volte è come un innesco che può portare alla riflessione, alla condivisione e inaspettatamente può contribuire a un cambiamento, anche piccolo, di uno stato d’animo. Magari può aiutare in un momento difficile: ha un suo potere, può fare del bene.
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